Nelle Pieghe Del Tempo - La Recensione

Nelle Pieghe Del Tempo Disney
Di licenze - come dire? – poetiche (?), l’adattamento cinematografico del libro di Madeleine L'Engle, “Nelle Pieghe Del Tempo”, – primo capitolo di una quadrilogia che non è detto arrivi tutta al cinema - se ne è prese parecchie. Andando a spulciare online, documentandosi, infatti, ciò che si intravede a primo impatto è che la famiglia protagonista - i Murry – non è composta – stando a una delle copertine, di un’edizione – da padre bianco e madre e figlia afroamericane, né tantomeno da un fratello adottato, dai lineamenti fortemente latini. Erano tutti caucasici, pare, in principio, con l’aggiunta di due gemelli che nella pellicola diretta da Ava DuVernay, al contrario, sono assenti per chissà quale strano motivo.

Un rimpasto che è palesemente figlio di una volontà superiore, per niente gratuito quindi, ma rafforzativo, casomai, nell'andare ad ampliare e ad estendere tutto un discorso legato all'integrazione e alla diversità che all’interno di “Nelle Pieghe Del Tempo” era di per sé già basilare, anche se di differente accezione. Se Meg e il suo fratellastro (in questo caso), Charles Wallace, vengono visti con un certo distacco a scuola, del resto, non è affatto per le loro origini, né tantomeno per il colore della pelle, bensì a causa della scomparsa improvvisa del loro padre-scienziato che, oltre ad essere stata piuttosto misteriosa, ha influito inevitabilmente sulla crescita e sul carattere di entrambi. A quattro anni dall'accaduto, allora, Charles Wallace, pur avendo cinque anni, ha sviluppato un’intelligenza pari almeno al triplo della sua età, mentre Meg vive l’adolescenza chiusa in sé stessa, in carenza di autostima e sperando che da un giorno all'altro suo padre possa fare ritorno a casa. Accade, però, che a presentarsi tra le loro mura domestiche sia, non la persona che attendono, ma tre strane donne dall'aria eccentrica e surreale, intente a coinvolgere Charles Wallace, Meg e il suo coetaneo Calvin in un viaggio nelle pieghe del tempo, appunto, in cui, pare, il loro padre – dopo aver scoperto la formula scientifica per attraversarle - sia rimasto intrappolato.

Nelle Pieghe Del Tempo Chris PineNe approfitta perciò per agganciare metaforicamente al contesto originale una problematica contemporanea che, probabilmente, la tocca da vicino, la DuVernay. Una metafora che in “Nelle Pieghe Del Tempo” sta lì, nella scelta del casting e nelle tematiche sollevate, per lavorare a livello subliminale e in maniera passiva: mai stuzzicata o insinuata. Eppure – sebbene come arricchimento o sottotesto tutto ciò suoni piuttosto forzato, estraneo rispetto a ciò che ci si potrebbe attendere da uno sci-fi come questo – non è esattamente tale digressione a figurarsi come problema principale di una pellicola che, nel suo voler attraversare ambiziosamente molteplici superfici, dimentica in toto l'utilizzo dell’ironia e della leggerezza che stanno alla base di un prodotto marchiato Disney (live action e non), accalcandosi – viene proprio da dire – nelle pieghe di una sceneggiatura caotica, approssimativa e poco attenta alle maggiori potenzialità che avrebbe potuto esprimere se avesse evitato di farsi distrarre da voli pindarici che non poteva permettersi.

Va detto che il target di riferimento che si cerca di intercettare è mirato, stretto in quella fascia adolescenziale, prossima all'età adulta, dove le crisi interiori esplodono e la fiducia in sé stessi latita. Ma, appurato ciò, resta la prorompente certezza comunque di un film che, pur se collocato in quel piccolo universo, non indovina mai il ritmo giusto, riuscendo più che a strabiliare e a divertire - come avrebbe voluto - ad annoiare e a farci guardare ripetutamente le lancette dell'orologio, sperando davvero di poter piegare il tempo, mandandolo avanti fino ai titoli di coda.

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