Mektoub My Love: Canto Uno - La Recensione

Mektoub My Love: Canto Uno Kechiche
L’estate, la gioventù, la spensieratezza.
Visto da un’ottica non superficiale, ma piuttosto distante, sembra voglia parlare di questo il “Mektoub My Love: Canto Uno” di Abdellatif Kechiche. E sintetizzarlo così, alla fine, non sarebbe neppure tanto sbagliato, se non fosse che la pellicola del regista franco-tunisino porti con sé un’anima talmente profonda, talmente stratificata da essere infinitamente più di quel che appare, e allo stesso tempo - se assorbita da un occhio abituato a seguire e ad entrare dentro una vicenda specifica - infinitamente meno.

Tutto voluto, sia chiaro, nulla di casuale.
Il cinema di Kechiche, in fondo, le uniche regole che è abituato a seguire – e chi lo conosce, lo sa – sono quelle del suo autore: e meno male, verrebbe da aggiungere, considerato il talento immenso che, ogni volta, ha da offrirci. Parliamo di un cinema refrattario alle trame, insofferente ai paletti e molto più a suo agio a raccontare vite e a mostrare corpi; a lasciarsi trascinare dai personaggi, fornendo quasi l’impressione che sia tutto frutto di un documentario in divenire, tutto realistico, tangibile, autentico. Potremmo quasi scandirlo in momenti, momenti lunghi che sono, poi, dei veri e propri blocchi narrativi all’interno dei quali accade sempre qualcosa: viene definito un carattere, una situazione, un pensiero, o semplicemente esaltato l’erotismo e la bellezza di chi gioca, o andrà a giocare un ruolo fondamentale in futuro. Non serve altro, infatti, per identificare l’amore recondito di Amin nei confronti di Ophélie, è sufficiente stargli accanto quando – nella scena d’apertura, appena tornato da Parigi a Séte per le vacanze estive – scende dalla sua bicicletta per fissare, immobile, da una finestra, la donna che desidera da chissà quanti anni fare l’amore con suo cugino Toni: uno di quelli inaffidabili a cui, praticamente, piace avere ragazze parcheggiate in ogni porto. L’attesa necessaria; l’opportunità di concedere a Kechiche (e a noi) uno sguardo voyeuristico - l’unico esplicito - attraverso il quale ogni uomo guadagna il diritto di innamorarsi perdutamente di questa ragazza bellissima e dalle forme giunoniche, che siamo subito dentro il suo appartamento, alle prese con un saluto imbarazzato tra i due che rivela molto di entrambi sia dal lato privato-personale, che da quello intimo-sentimentale.

Mektoub My Love: Canto Uno OphélieA questo punto sembra fatta. A questo punto pensiamo di aver capito il tipo di storia che andremo a vedere. Eppure non potremmo commettere errore più grande. Perché - come accennato - Kechiche certi sottotesti te li fa intuire, ti conferma che esistono e non ti prende in giro, però non è detto che abbia voglia di affrontarli di petto, sacrificando il resto. In “Mektoub My Love: Canto Uno”, almeno le cose non girano in questo modo, Amin è oggettivamente il perno intorno a cui tutto ruota, ma a fianco a lui c’è una famiglia larga e ingombrante e una voglia sfrenata di ognuno di loro di non sfuggire al divertimento estivo, di ballare, mangiare, andare al mare e conquistare le belle turiste che, vista la stagione, popolano le spiagge. E questo vale per i più giovani, come per chi – teoricamente - da questa esplosione di ormoni e bollori dovrebbe rimanere più riparato, sebbene sia complicato rinunciare a quella voglia di rimettersi in gioco o di ricevere conferme in merito a un’età che passa, senza sciupare l’avvenenza.
E in questo scorrere naturale di attrazioni, entusiasmi, sentimenti e delusioni, Kechiche se la prende comoda. Nelle tre ore di visione di quello che è un canto uno – e quindi una parte di qualcosa che dovrà proseguire (ispirato, tra l’altro a La Blessure, La Vraie il romanzo di François Bégaudeau) – non ci fa capire nulla delle sue vere intenzioni; di dove potenzialmente andrà a parare e perché. Si, capiamo molto delle anime che segue rigorosamente camera a mano; del romanticismo e della sensibilità di Amin - che cammina e vive l'esaltazione e la libertà tipiche della sua generazione sempre defilato, come fosse interessato a qualcosa di meno effimero e più maturo – ma tuttavia è complicato azzardare previsioni o anticipare ciò che potrebbe contenere il secondo canto, poiché l'ipotesi di un abbaglio è altissima.

La sola certezza è che, nonostante ciò, da “Mektoub My Love: Canto Uno” non si possono staccare gli occhi di dosso; non si può non restare follemente innamorati, inglobati da una freschezza, una vitalità e una passione che non sono le nostre, ma, per forza di cose, è come se poi, inevitabilmente, lo diventassero lo stesso.
Per questo, è malinconico, giunti al dunque, dover abbandonare la sala in attesa di ritornare.

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