In originale è “Thoroughbreds”, che letteralmente significa purosangue, cavalli di razza; e si riferisce non tanto all'animale che Olivia Cooke uccide efferatamente nel prologo (ma tranquilli, noi non lo vediamo), ottenendo di diritto l’etichetta di persona con disturbo antisociale, quanto all’appartenenza a quella classe aristocratica che condivide anche con l’amica (a pagamento) Anya Taylor-Joy.
Un sottotesto che va a perdersi completamente nella (nostra) traduzione italiana, dove il titolo “Amiche Di Sangue” fa riferimento maggiormente a ciò che le due, poi, combineranno insieme.
Di purosangue e cavalli di razza, però, nell’esordio cinematografico di Cory Finley (che scrive e dirige), ci sarebbe da fare soprattutto un discorso concernente gli attori, anzi le attrici. Perché sia la Cooke che la Taylor-Joy – ma anche il compianto Anton Yelchin, qui (strepitoso) in una delle sue ultime apparizioni – confermano di essere due profili di grande spessore per quel che sarà il cinema americano del futuro. La prima, forse, è quella che stupisce maggiormente: a causa di un personaggio da interpretare per lo più in sottrazione, ma in grado lo stesso di restituire quel senso di non adattamento, freddezza e incapacità di relazione che vorrebbe il copione (per non parlare, poi, della scena dove simula un pianto con “la tecnica”, che lascia davvero a bocca aperta). La seconda, viene da due titoli – che sono “The Witch” e “Split” – che l’hanno sapientemente già messa in mostra e lanciata, ma che stavolta riesce addirittura a prendersi la scena, oltre che per una bravura naturale, per merito di una bellezza inquietante, esaltata alla perfezione dai primi piani e dai costumi indossati. Insomma, quello di Finley è un prodotto in cui a rubare la scena è la forma, non tanto il contenuto, il quale ridotto all’osso finisce per raccontare della pianificazione di un omicidio che unisce – appunto – come mai era accaduto prima le due ragazze, mostrandole assai meno diverse da quanto poteva apparire all’inizio.
E allora parliamo ancora di forma, si; quella che torna di fronte all’egregio lavoro eseguito in cabina di regia: dove Finley è bravissimo a non sbagliare neppure un’inquadratura, catturando immediatamente l’attenzione dello spettatore con piani stretti e carrellate, uniti a effetti sonori furbi, ma coerenti e persuasivi. Divide il suo film in quattro capitoli (e un prologo), snellendone in questo modo il flusso e aumentandone gradualmente la tensione, senza rinunciare all’umorismo grottesco – basilare - che si fa incandescente quando a interagire col duetto, tutto al femminile, si unisce anche l'ambizioso spacciatore per minorenni di Yelchin (la scena in macchina ne è un esempio). Un personaggio, il suo, che probabilmente avrebbe meritato ulteriore approfondimento (assente per via della sua morte?), l'aggiunta di leggerissime sfumature che vengono a mancare un po' in generale, per colorare una trama potenzialmente più accattivante e magnetica come il pre-finale da brividi, angoscioso e affascinante pur senza essere esplicito.
Sta di fatto, tuttavia, che nonostante le sue tenui imperfezioni “Amiche Di Sangue” resta un prodotto di medio-alto livello, godibile nel suo piccolo e abile a rimanere impresso a brandelli.
Di quei film, per intenderci, che difficilmente ci capiterà di rivedere, ma di cui a piccoli pezzi ci ricorderemo.
Trailer:
Un sottotesto che va a perdersi completamente nella (nostra) traduzione italiana, dove il titolo “Amiche Di Sangue” fa riferimento maggiormente a ciò che le due, poi, combineranno insieme.
Di purosangue e cavalli di razza, però, nell’esordio cinematografico di Cory Finley (che scrive e dirige), ci sarebbe da fare soprattutto un discorso concernente gli attori, anzi le attrici. Perché sia la Cooke che la Taylor-Joy – ma anche il compianto Anton Yelchin, qui (strepitoso) in una delle sue ultime apparizioni – confermano di essere due profili di grande spessore per quel che sarà il cinema americano del futuro. La prima, forse, è quella che stupisce maggiormente: a causa di un personaggio da interpretare per lo più in sottrazione, ma in grado lo stesso di restituire quel senso di non adattamento, freddezza e incapacità di relazione che vorrebbe il copione (per non parlare, poi, della scena dove simula un pianto con “la tecnica”, che lascia davvero a bocca aperta). La seconda, viene da due titoli – che sono “The Witch” e “Split” – che l’hanno sapientemente già messa in mostra e lanciata, ma che stavolta riesce addirittura a prendersi la scena, oltre che per una bravura naturale, per merito di una bellezza inquietante, esaltata alla perfezione dai primi piani e dai costumi indossati. Insomma, quello di Finley è un prodotto in cui a rubare la scena è la forma, non tanto il contenuto, il quale ridotto all’osso finisce per raccontare della pianificazione di un omicidio che unisce – appunto – come mai era accaduto prima le due ragazze, mostrandole assai meno diverse da quanto poteva apparire all’inizio.

Sta di fatto, tuttavia, che nonostante le sue tenui imperfezioni “Amiche Di Sangue” resta un prodotto di medio-alto livello, godibile nel suo piccolo e abile a rimanere impresso a brandelli.
Di quei film, per intenderci, che difficilmente ci capiterà di rivedere, ma di cui a piccoli pezzi ci ricorderemo.
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