Ocean’s 8 - La Recensione

Ocean’s 8 Poster
C’è un cast femminile da fare impallidire ambo i sessi in “Ocean’s 8”, un cast non superiore, ma grossomodo paritario – a livello di nomi - a quello che fu a disposizione di Steven Soderbergh nella (sua) versione originale di (ormai) diciassette anni fa. C'è Sandra Bullock nei panni della sorella di un George Clooney, forse deceduto, forse no, che appena uscita di prigione – tanto per rimanere vicini a “Ocean’s Eleven” – riprende contatto con una Cate Blanchett coatta fino all'osso e sua fedele spalla per mettere in atto il colpo del secolo studiato, così meticolosamente, nei cinque anni dietro le sbarre, che sarebbe quasi un peccato, ora, doverlo pensare e basta. Ci sono tutti gli ingredienti fondamentali per portare a casa un grande successo, se non fosse per quel piccolo particolare di una sceneggiatura poco credibile.

Il termine credibile, sia messo agli atti, è da interpretare chiaramente in maniera alquanto eufemistica: perché lo sanno persino i bambini che negli heist movie la logica è costretta a fare sempre uno o due passi indietro. Il problema è quando però decidi di non considerarla proprio questa logica; di non considerare l'intelligenza media - non altissima, media - dello spettatore, servendogli un prodotto che - in sostanza – mira, si, allo spettacolo e all'intrattenimento, ma si dimentica che per non far crollare il tutto c'è bisogno necessariamente di una base minima in grado di poterli sostenere. Ecco, questa base minima in "Ocean's 8" è assolutamente assente, trascurata; con il regista Gary Ross impegnato più a ricalcare lo scheletro da cui prende spunto, che a rendere credibile quel gioco furbo e smaliziato che, quando si parla di truffatori e piani impossibili, ci si aspetta, ogni volta, sia stracolmo di colpi di scena, illusionismo e inganni. Tutte carte che Soderbergh – prima ancora di proteggersi con dei nomi giganteschi – aveva considerato di inserire accuratamente nel mazzo, realizzando, non a caso, un lavoro bilanciatissimo, degno del successo che gli ha permesso, poi di generare i due sequel (e questo spin-off).

Ocean's Eight FilmA Ross sarebbe bastata anche la metà, del suddetto bilanciamento, per compiere un buon lavoro; gli sarebbe bastato curare meglio alcuni passaggi inserendo una dose superiore di astuzia: se non altro per salvaguardare almeno quel sottotesto, tutto al femminile, che pur se non importantissimo, probabilmente, riposto in qualche taschino secondario è comunque presente ed esiste. Esiste dal momento in cui viene esclamata la frase che l’uomo si nota e la donna si ignora; esiste perché la figura del maschio in “Ocean’s 8” viene – giustamente – allontanata e messa ai margini, ma soprattutto esiste quando ti accorgi che ogni personaggio del sesso forte, chiamato in causa per avere un ruolo quantomeno rilevante, finisce puntuale per fare (o per essere) la figura dello stupido.
Una provocazione che ci sta, anzi, che deve esserci e da leggere – vuoi o non vuoi - con molteplici significati, ma che rischia di diventare un autogol clamoroso se, per renderla vincente, è vitale far comportare l’uomo come fosse il ritardato mentale che un istante prima non era.

Tuttavia viene da pensare che, in preda alla sua frivolezza, neppure se ne renda conto, Ross, dello screditamento che va a commettere nei confronti del girl power, il quale è solamente l'ultima goccia all'interno di un vaso già traboccante e crepato che, per non essere notato, ha bisogno di essere visto distrattamente e, magari, con un qualcuno vicino propenso a buttare la serata in caciara.

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