First Man: Il Primo Uomo - La Recensione

Il Primo Uomo Poster Ita
In effetti ha senso.
Dopo averci fatto emozionare, commuovere e lasciato di stucco con la magica estetica e la musica di “La La Land” a Damien Chazelle, per rilanciare, non restava che fare la mossa più logica: portarci sulla Luna. E – sempre seguendo la logica – la maniera migliore per farlo era quella di prendere in considerazione l’idea di raccontare la storia di chi sulla Luna c’era stato veramente. Del primo uomo. Quel Neil Armstrong al quale facciamo riferimento ogni volta che pronunciamo (o sentiamo pronunciare) la fatidica frase: “Un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per l’umanità!”.

Anche se, forse, le motivazioni che hanno spinto Chazelle a intraprendere questo tragitto, vanno al di là della relazione tra lui e ciò che il pubblico si sarebbe aspettato. Anzi, a dire il vero, si potrebbe sostenere viaggino proprio slegate, spinte dalla volontà del regista di cambiare genere, affrontando per la prima volta il mito della fantascienza. Un passo – questo - che per lui non risulta affatto piccolo, ma al contrario più lungo di una gamba che va nettamente in difficoltà non appena è chiamata a dover gestire l’assenza di gravità. Non serve un esperto, infatti, per rendersi conto che “First Man: Il Primo Uomo” deve fare i conti con un'anima da due poli ambivalenti: uno freddo e distaccato - quasi estraniante per lo spettatore - legato a tutti quei tecnicismi, le prove di volo e i primi piani – di piloti e macchine - dedicati agli esperimenti della NASA e l’altro - il secondo - decisamente più caloroso e appassionante, perché circoscritto al privato di Armstrong, al rapporto con sua moglie – una breve, ma intensa Claire Foy – i figli e le perdite cicliche che, suo malgrado, non smettono di ruotare attorno alla sua orbita. Due poli, insomma, che provano a bilanciarsi tra loro a staffetta, ma incapaci di avvicinarsi davvero e permettere, a quella che sarebbe il caso di definire missione, di proclamarsi compiuta.

First Man ChazelleDiciamo che Chazelle, in confronto ad Armstrong, ha avuto meno fortuna. Sulla Luna ci arriva, e ci fa arrivare anche a noi, ma a conti fatti, il suo atterraggio, è indiscutibilmente ruvido e da rivedere. Che poi da rivedere, fino a un certo punto, perché se c’è una certezza, un segnale indiscutibile in “First Man: Il Primo Uomo”, è proprio legato alla palese evidenza del regista nel trovarsi molto più a suo agio, e ad essere più abile ed efficace, quando deve manipolare i sentimenti e i conflitti interiori dei protagonisti. I picchi più alti e coinvolgenti della pellicola, non a caso, si fanno sentire quando ci troviamo tra le mura di casa, quando Ryan Gosling e Claire Foy mostrano la loro forza granitica di una coppia che deve reagire alle difficoltà; quando scherzano coi loro figli e – nella scena clou del film – nel momento in cui lei lo obbliga a preparare i piccoli per un saluto che potrebbe farsi ultimo.

Accelerazioni, miste a decelerazioni che destabilizzano noi quanto Chazelle, che a furia di dimenarsi tra ciò che sa fare benissimo e ciò che sta imparando in corsa, slama le fila (commoventi) di una chiusura che fatica a farsi cerchio. Una chiusura visivamente e acusticamente stupefacente, eppure strozzata da una mancanza di frammenti (narrativi) che, forse, avrebbe potuto recuperare e inserire facilmente.
Chiedendo, magari, aiuto a un certo Steven Spielberg, che figurava - guarda un po' - tra i produttori del film (e che in materia non se la cava nemmeno tanto male).

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