Robin Hood: L'Origine Della Leggenda - La Recensione

Robin Hood Egerton
Dimenticate il classico. Ce lo dice subito questo nuovo “Robin Hood: L'Origine Della Leggenda”, con la voce fuori campo di un Taron Egerton che incalza, aggiungendo che ciò che vedremo sarà alquanto discorde da ciò che sappiamo e ricordiamo. Una raccomandazione che – per quanto mi riguarda, posso dire – incoraggia e stimola, perché se nel 2018 porti al cinema la settordicesima versione dell’antieroe con arco e frecce, dargli una rilettura moderna, o post-moderna deve essere praticamente d’obbligo.

Opta, così, per la seconda possibilità, il regista Otto Bathurst, mettendo mani a una sceneggiatura – scritta da Ben Chandler e David James Kelly - che miscela l’originalità della leggenda con l’attualità recente, sia di cronaca che cinematografica. Succede, allora, che un giovane Robin di Loxley - in piena love-story con Marion - viene chiamato a fare il militare e a combattere una Crociata contro gli Arabi che lo tiene lontano da Nottingham per quattro anni: periodo nel quale - in pratica - lui diventa Occhio Di Falco con l’arco e il suo paese, invece, viene dissanguato dalle richieste di uno sceriffo che, in combutta con la Chiesa, sta seminando povertà e disperazione tra la plebe. Politica capitalista e repressiva che all’improvviso, una sorta di super-eroe – con tanto di maschera, sia chiaro – detto Hood, tenterà di scardinare e sopprimere, accompagnato da un fido Little John che, da nemico di guerra, si trasformerà per lui in leader silenzioso, addestratore e, infine, fido scudiero.
Tanta carne al fuoco, insomma, tanta voglia di stupire, ma anche tanta, tantissima voglia di non snaturare troppo gli archetipi di una storia che, se negli anni è riuscita a mantenersi epica, lo deve moltissimo a quei valori fondamentali e sinceri, da difendere con orgoglio. Un compromesso che “Robin Hood: L'Origine Della Leggenda” dimostra di poter portare a casa facilmente, di avere le carte in regola e le idee per domarlo, gestirlo, questo almeno se la fretta e la smania di mettersi in ghingheri non lo facesse scivolare su delle bucce di banana, onestamente, evitabilissime.

Robin Hood Jamie FoxxLa più imperdonabile – perché compromette l’intera credibilità del film – è quella di un addestramento formativo – sull'imparare a essere veloce con l’arco - montato in maniera talmente veloce e repentina da dare la sensazione che il tempo trascorso tra l’inizio e la fine sia appena di qualche giorno: facendo passare il messaggio che lo scompiglio portato dal giustiziere Hood, a Nottingham, cominci a pochissimi giorni dal ritorno di Robin in città, ma nessuno sia abbastanza intelligente da rendersene conto. Sarebbe bastato allungare un minimo quella parentesi, copiare un po’ meglio da “Kill Bill” – del resto, è evidente che Little John diventi Pai Mei – e da quello che evidentemente è stato il riferimento principe di Bathurst, ovvero “Batman Begins”: magari aggiungendo dei sintetici stacchi su popolo e sceriffo che, nel mentre, continuavano a discutere e a subire. Errori superficiali che si ripetono più avanti, ancora, non minando il ritmo di una pellicola muscolare, a cui piace guardare molto verso Guy Ritchie - imitandolo spesso piuttosto bene – e che non ha neppure peli sulla lingua quando deve mostrare un lato ecclesiastico corrotto e immorale (per non parlare poi di una battuta sulla pedofilia).

Tutti spunti che con il movimento rivoluzionario fondato da Robin e la sequenza del terzo atto, dove è lampante il riferimento ai Black Bloc, si poteva davvero andare a realizzare qualcosa di post-moderno e persino di rilevante in termini di lettura e apprezzamento. Una satira feroce sull'oggi, cucita sul tessuto solido di ieri, che “Robin Hood: L'Origine Della Leggenda” non ce la fa, purtroppo, a calzare a pennello e solamente per colpa della sua indole frettolosa ed eccessivamente impulsiva. Che conferma, di fatto, che l'unico Robin di Loxley che valga la pena ricordare, resti sempre e comunque quello di Kevin Costner.

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