Troppa Grazia - La Recensione

Troppa Grazia Gianni Zanasi
Alba Rohrwacher è una madre geometra, tendenzialmente spiantata, – e in rotta col compagno - che cerca di arrabattarsi alla meglio nella piccola cittadina in cui vive. Ingaggiata inaspettatamente per effettuare i controlli su un terreno equivoco - prossimo alla costruzione di una grande opera - all'improvviso comincia a vedere la presenza di una donna che scambia per una profuga, ma che si presenterà a lei come la madre di Dio, chiedendole con insistenza di far costruire una chiesa sul luogo della sua apparizione.

Come punto di partenza ricorda un misto tra l’arca di Noè e la miriade di altre storie con divinità al seguito, l’ultimo film di Gianni Zanasi. Un assist, quindi, che inevitabilmente ti aspetti sia destinato a sfociare nel campo della religione, della fede: a maggior ragione poi se la protagonista in questione neppure è credente, e di tornare sui suoi passi non ne vuol sapere (d'altronde, chi ce l’ha il tempo di credere, oggi?). E, probabilmente, sarebbe così se Zanasi non fosse uno di quegli autori – sottovalutati nel nostro cinema - che raramente si permette (e si accontenta) di prendere e di tirare dritto; uno di quelli a cui piace lasciarsi trasportare dalla scrittura, dall'improvvisazione e che, anche quando deve – per necessità – affrontare un rettilineo, si concede comunque il lusso di fare delle interruzioni, di zizzagare, di compiere quegli strappi che servono a rendere la corsa più brillante e anomala di quel che un pubblico medio, di solito, si attenderebbe. Infatti tra la Rohrwacher e la Madonna di Hadas Yaron c’è attrito, cinismo, la sorprendente voglia della prima di rifiutarsi di assecondare le richieste della seconda, la quale, messa alle strette, per farsi valere, è costretta a venire alle mani, a picchiare ripetutamente. Il che è paradossale, quasi quanto non far passare per l'anticamera del cervello di nessuna delle due, l'idea di approfittare dell'avvenimento per aprire discussioni filosofiche e spirituali; di promuovere devozione, o chiedere, magari, lumi sui cosiddetti misteri che, spesso, ci rendono scettici.

Troppa Grazia RohrwacherVedere la Madonna non basta, allora, a Lucia, per rimettersi in discussione (non, almeno, nel senso che avremmo creduto), come non basta a Zanasi per portare a casa una pellicola che con l’assurdità dell’evento ci scherza, (ci) fa (molto) ridere, ma in realtà è orientata a proferire e a muoversi altrove. Perché le ambizioni del regista, stavolta, danno la sensazione di essere più alte e intricate del solito e ad esternarlo è uno sviluppo narrativo che va a incastrarsi e a procedere, forse, con meno facilità rispetto a quanto gli era riuscito col precedente e bellissimo “La Felicità È Un Sistema Complesso”: con il quale “Troppa Grazia” ha molte, moltissime cose in comune (dalla struttura a un Giuseppe Battiston sempre più abituato a interpretare personaggi dal lato oscuro). Tirare in ballo la corruzione sugli appalti, l’avidità dei potenti e una società in perenne crisi di valori, diventa perciò, per Zanasi, l'appiglio perfetto per trascinarci verso un insospettato viaggio alla (ri)scoperta della bellezza: una bellezza oggi perduta, insultata, che qualcuno potrebbe definire nascosta o estinta, eppure, lì, viva e smascherata, proprio sotto il nostro naso.

Un volo ai limiti di quello pindarico che "Troppa Grazia" spicca incurante dei vuoti d'aria, quelli che gli impediscono di rimanere lucido fino in fondo e che lo offuscano quando è il turno di arginare certe dilatazioni che gli fanno perdere ritmo. Danni calcolati, probabilmente collaterali, che non gli vanno a togliere, tuttavia, il merito di essere uscito fuori da determinati schemi, centrando qualche bersaglio a scapito di qualche altro. E riuscendo lo stesso - tramite il calore e la leggerezza - a lasciare in noi spettatori assai più di quanto la maggior parte delle commedie nostrane, di norma, è in grado di fare.

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