Widows: Eredità Criminale - La Recensione

Widows Steve McQueen
A dirigere, c’è Steve McQueen: una sorta di garanzia, ancora abbondantemente in credito nonostante con “12 Anni Schiavo” – premiato con l’Oscar – avesse dato l’impressione di aver fatto un passo indietro dal suo cinema per avanzarne uno nei confronti di quello più formale. In sceneggiatura – al fianco di McQueen – c’è Gillian Flynn: scrittrice di un certo peso, ultimamente apprezzatissima a Hollywood, che ricordiamo prevalentemente come autrice di quel “L’Amore Bugiardo: Gone Girl”, che ne evidenziava le spiccatissime potenzialità.
Sulla carta, insomma, un’accoppiata notevole, stimolante, affidabile. Peccato solo che il grande schermo sembra non l’abbia digerita proprio allo stesso modo.

Di sicuro non è un problema di regia, quello di “Widows: Eredità Criminale”: che comincia con un montaggio alternato, dal ritmo sincopato, con il quale miscela la calma mattutina di un amore ancora (apparentemente) integro - come quello tra Viola Davis e Liam Neeson - con l’affanno di una fuga post-rapina - architettata da quest’ultimo - che finisce come peggio non potrebbe accadere. Il tocco di McQueen ci rassicura subito di essere saldo, nitido, magari meno intento a rubare il centro dell’attenzione, ma comunque sempre preciso e mai banale. Anche perché di tempo per i virtuosismi – ti viene da pensare - non ce n’è poi molto, forse, considerato che bisogna lasciare spazio a una storia dai connotati un po’ thriller, un po’ heist-movie e inevitabilmente un po’ drammatici. Una storia dove, in breve, da quella rapina andata male, sulle vedove dei mariti si scaglia la rabbia di un aspirante politico di colore - grosso esponente della malavita - che vuole assolutamente gli siano restituiti tutti i soldi andati perduti. Minaccia che se, all'inizio, cade dritta dritta sulle spalle della Davis, in seguito verrà spartita per equità e per guadagno con Michelle Rodriguez e Elizabeth Debicki: reclutate per mettere in pratica l’eredità di un colpo, già dettagliatamente pianificato, che i loro mariti avrebbero eseguito se l’ultimo non gli fosse stato fatale.

Widows Viola DavisE qui entra in gioco l’influenza dell’impronta erogata dalla Flynn, con una piega prepotentemente al femminile che prende il comando all'interno di un mondo, però, governato, gestito e vigilato da uomini; un mondo dove – e questo è probabilmente lo spunto migliore su cui si vorrebbe operare – il loro ruolo è gratuitamente relegato a ornamento e la corruzione, il male e il sangue non fanno distinzioni di razza o di pelle, ma agiscono a prescindere, in base agli interessi personali del soggetto specifico. Un mondo cupo, allora, dove queste tre donne per avere successo hanno bisogno di tirare fuori le palle (che hanno: chi in bella vista, chi nel cassetto), cogliendo alla sprovvista l’atteggiamento di un testosterone troppo impegnato a sottovalutarle, a vessarle e a sfruttarle, per andarsi a prendere così la vita, il rispetto e la pace (interiore) che gli spetta.
Siamo, chiaramente, alle prese quindi con un copione figlio delle notizie deflagrate recentemente dal sistema hollywoodiano, uno di quelli che ci tiene a unirsi e a farsi sostenitore dei vari movimenti di difesa femminile e che, nel farlo, non dimentica neppure di rivendicare una paternità afroamericana, sulla quale (r)esiste un discorso tutt'altro che risolto (seppur senza calcare troppo, come dimostra la parabola del personaggio di Colin Farrell).

Tuttavia le buone intenzioni di “Widows: Eredità Criminale” – condivise e apprezzabili, per carità - vengono abbastanza rallentate da un amalgama – quella tra McQueen e la Flynn – che non pare mai farsi davvero rodata e uniforme, appesantita, probabilmente, dall'urgenza di una morale che sovrasta e svigorisce le sue mire (e potenzialità) cinematografiche.

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