La falsa riga.
Ormai è diventata la soluzione a tutti quei progetti che vorrebbero riportare in auge un franchise famosissimo, abbassando il più possibile la soglia di fallimento (e disapprovazione dei fan). Lo aveva fatto J. J. Abrams con “Star Wars: Il Risveglio Della Forza” e, vista la resa, probabilmente, alla Disney hanno deciso di replicare la formula anche per questo nuovo “Mary Poppins”.
Ritorna, allora, la tata ideale, e lo fa ricalcando per filo e per segno i passi che le avevano portato fortuna cinquantaquattro anni fa: con un copione che si assume la briga – obbligata – di spostarsi in avanti di una ventina d’anni e mostrarci i piccoli Banks, ormai adulti, alle prese con la Grande Depressione che rischia di portargli via la casa in cui sono cresciuti. Niente più favole, insomma, niente più viaggi immaginari e né tantomeno magie, perché se Jane è diventata - seguendo le orme rivoluzionarie della madre – una sindacalista attivissima, a Michael spetta il duro compito di districarsi tra il lavoro part-time di banchiere – ereditato dal padre – e la sua passione per la pittura: messa da parte, recentemente, a causa della scomparsa della moglie e di tre figli a cui badare. Canovaccio che, teoricamente, avrebbe potuto portare questo sequel / remake in qualsiasi direzione si fosse voluto, ma che lo sceneggiatore David Magee e il regista Rob Marshall non si azzardano neppure lontanamente a sviluppare di sana pianta, tenendo sotto mano, stretta fortissima, la scaletta consolidata della pellicola originale. Già dalla prima scena, infatti, le intenzioni paiono incontrovertibili, con il lampionaio Jack di Lin-Manuel Miranda che, a suon di canzone, si presenta e ci comunica di aver preso lui il ruolo - non lo stesso, ma in termini di compiti da svolgere, quello è - che fu di Dick Van Dyke (il quale torna, ma in un piccolissimo cameo), riuscendo in un colpo solo e in pochissimi minuti a farci avere uno schema mentale ben preciso sul tipo di prodotto che ci aspetta, ma soprattutto di quelli che saranno i suoi limiti.
Pretendere di avere successo con un’imitazione, del resto, è un’ipotesi percorribile esclusivamente se hai la certezza di avere il medesimo talento di chi vuoi andare a imitare. Che in un progetto come “Il Ritorno Di Mary Poppins” - che di fatto è un musical - è un discorso destinato ad andare oltre la bravura e il carisma degli attori – sui quali è stato comunque fatto un lavoro, non eccelso, ma buonissimo – perché esteso in maniera imprescindibile anche sulla scrittura di pezzi musicali e coreografie che devono assolutamente colpire lo spettatore, restandogli in testa, in alcuni casi, provando a conquistarlo. Una magia – restando in tema – che nella versione di Marshall - remissiva, ma onesta e tutto sommato godibile - non si verifica praticamente mai, che tu da spettatore dai per scontata, attendi al varco, – non sarò stato, e non sarò, l’unico a pensare, a ogni brano: “Eccola, è questa! Vabbè, sarà quest’altra! Dai, è questa sicuro!” - ma a ogni passo falso, a ogni testo debole che scorre, la convinzione che non si sia riusciti a scrivere una nuova Supercalifragilistichespiralidoso o Cam-Caminì aumenta, fino a cicatrizzarsi, ahi-noi, definitivamente.
Ormai è diventata la soluzione a tutti quei progetti che vorrebbero riportare in auge un franchise famosissimo, abbassando il più possibile la soglia di fallimento (e disapprovazione dei fan). Lo aveva fatto J. J. Abrams con “Star Wars: Il Risveglio Della Forza” e, vista la resa, probabilmente, alla Disney hanno deciso di replicare la formula anche per questo nuovo “Mary Poppins”.
Ritorna, allora, la tata ideale, e lo fa ricalcando per filo e per segno i passi che le avevano portato fortuna cinquantaquattro anni fa: con un copione che si assume la briga – obbligata – di spostarsi in avanti di una ventina d’anni e mostrarci i piccoli Banks, ormai adulti, alle prese con la Grande Depressione che rischia di portargli via la casa in cui sono cresciuti. Niente più favole, insomma, niente più viaggi immaginari e né tantomeno magie, perché se Jane è diventata - seguendo le orme rivoluzionarie della madre – una sindacalista attivissima, a Michael spetta il duro compito di districarsi tra il lavoro part-time di banchiere – ereditato dal padre – e la sua passione per la pittura: messa da parte, recentemente, a causa della scomparsa della moglie e di tre figli a cui badare. Canovaccio che, teoricamente, avrebbe potuto portare questo sequel / remake in qualsiasi direzione si fosse voluto, ma che lo sceneggiatore David Magee e il regista Rob Marshall non si azzardano neppure lontanamente a sviluppare di sana pianta, tenendo sotto mano, stretta fortissima, la scaletta consolidata della pellicola originale. Già dalla prima scena, infatti, le intenzioni paiono incontrovertibili, con il lampionaio Jack di Lin-Manuel Miranda che, a suon di canzone, si presenta e ci comunica di aver preso lui il ruolo - non lo stesso, ma in termini di compiti da svolgere, quello è - che fu di Dick Van Dyke (il quale torna, ma in un piccolissimo cameo), riuscendo in un colpo solo e in pochissimi minuti a farci avere uno schema mentale ben preciso sul tipo di prodotto che ci aspetta, ma soprattutto di quelli che saranno i suoi limiti.
Pretendere di avere successo con un’imitazione, del resto, è un’ipotesi percorribile esclusivamente se hai la certezza di avere il medesimo talento di chi vuoi andare a imitare. Che in un progetto come “Il Ritorno Di Mary Poppins” - che di fatto è un musical - è un discorso destinato ad andare oltre la bravura e il carisma degli attori – sui quali è stato comunque fatto un lavoro, non eccelso, ma buonissimo – perché esteso in maniera imprescindibile anche sulla scrittura di pezzi musicali e coreografie che devono assolutamente colpire lo spettatore, restandogli in testa, in alcuni casi, provando a conquistarlo. Una magia – restando in tema – che nella versione di Marshall - remissiva, ma onesta e tutto sommato godibile - non si verifica praticamente mai, che tu da spettatore dai per scontata, attendi al varco, – non sarò stato, e non sarò, l’unico a pensare, a ogni brano: “Eccola, è questa! Vabbè, sarà quest’altra! Dai, è questa sicuro!” - ma a ogni passo falso, a ogni testo debole che scorre, la convinzione che non si sia riusciti a scrivere una nuova Supercalifragilistichespiralidoso o Cam-Caminì aumenta, fino a cicatrizzarsi, ahi-noi, definitivamente.
Tutta colpa della falsa riga.
Quella che una mente brillante e astuta, come Abrams, può permettersi di manipolare quasi a piacimento, ma che affidata a un regista come Marshall - abituato a eseguire il suo lavoro e nient’altro – si rivela più insidiosa e meno agevole del previsto.
Basti pensare allo svarione di sceneggiatura presente nel terzo atto, dove – senza fare spoiler - i lampionai devono arrampicarsi su qualcosa di molto alto, rischiando di cadere, ma quando il tempo stringe e la situazione si complica, Mary Poppins – che, nel frattempo, era rimasta di sotto a guardarli impensierita – decide di volare in cielo col suo ombrello e di metterci una pezza.
Una scena che, sinceramente, oltre a generare comprensibili perché, va a macchiare non poco l'aurea di perfezione e di positività di un personaggio così iconico (e storico). Dicendo molto persino su questa discutibile operazione di rilancio.
Trailer:
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