Macchine Mortali - La Recensione

Macchine Mortali Film
In un futuro distopico e post-apocalittico, il mondo – così come lo conosciamo – è stato devastato dalla cosiddetta “Guerra Dei Sessanta Minuti”, evento che l’ha reso praticamente un deserto esteso, decadente, e che ha costretto i sopravvissuti – più ricchi che poveri - a cercare metodi alternativi estremi, in grado di non fargli mancare i beni necessari. Sono nate così due fazioni, i trazionisti e gli anti-trazionisti: i primi supportati da quei ricchi che, attraverso il darwinismo urbano, sono riusciti a trasformare le città in giganteschi veicoli, armati per depredare qualsiasi spazio si trovino di fronte e i secondi - poveri per definizione - destinati ad opporre resistenza a una politica che, indirettamente, li vorrebbe spazzare via.

Spiegata così, con la serenità di una lettura, una trama come questa – articolata, ma a suo modo lineare - può riuscire, in poche righe, a istituire quel genere di chiarezza, che diventa fondamentale nell’istante in cui si decide di portare lo spettatore all’interno di un contesto fantasy e fantascientifico, totalmente rivoluzionario. Persino Peter Jackson – che di “Macchine Mortali” è produttore – quando realizzò “Il Signore Degli Anelli”, pensò bene di aprire con un prologo ordinato e semplice, che potesse immediatamente, e in pochi minuti, infarinarci su chi erano i buoni, chi i cattivi e quali fossero i loro rispettivi intenti. Un consiglio che – sempre da produttore – avrebbe fatto meglio a suggerire anche al regista Christian Rivers che, al contrario, in “Macchine Mortali”, sembra non possa permettersi di fermarsi un attimo e andare a mettere i puntini sulle i – quelli indispensabili, almeno – senza evitare che qualche esplosione, stacco di montaggio frenetico o digressione gli prendano la mano, vanificando lo sforzo.
Figlio dell’industria intrattenitiva moderna - e quindi strabordante all’estremo, ma incapace di costruire un’intelaiatura drammatica appassionante - il suo film somiglia, infatti, a una corsa contro il tempo, a una gigantesca passerella di personaggi, effetti speciali e scene d’azione che raramente riescono a simulare legami e coerenza tra loro.

Macchine Mortali JacksonLo si guarda, allora, questo “Macchine Mortali”, si distingue a grandi linee chi ha torto e chi ha ragione, ma in sostanza se ne resta regolarmente al di fuori, distaccati, in attesa di un momento in cui Rivers scelga finalmente di rifiatare, concentrandosi magari, con una camera dedicata, sulle profondità e le evoluzioni dei (due) protagonisti della storia. Una speranza – la nostra – che, tuttavia, non verrà mai esaudita, perché piuttosto che scadere nell’intimo, piuttosto che delineare i profili dei suoi eroi, il regista preferisce abbracciare a piene mani la natura da blockbuster della sua pellicola, lavorando in addizione e allestendo quel finale immancabile dove esplosioni, morti e battaglie la fanno da padrone.
Un finale palesemente ispirato – per via della battaglia ambientata, in parte, tra i cieli – a “Star Wars: Una Nuova Speranza”, non unico riferimento al genere, preso in prestito e riarrangiato in maniera riconoscibile, ma pure totalmente dozzinale e sprecata.

Un adattamento da dimenticare, insomma, quello del romanzo di Philip Reeve, che con le sue potenzialità e la sua cultura steampunk poteva sicuramente ambire a qualcosa di maggiormente avvincente. Per farlo, però, era necessario avere delle idee abbastanza chiare, un concetto solido, un pubblico di riferimento (nonostante la forza per risultare trasversale, la storia ce l’abbia), tutti elementi che, purtroppo, sono venuti a mancare.

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