Un Piccolo Favore - La Recensione

Un Piccolo Favore Paul Feig
Se ci facciamo aiutare dalla memoria, leggere la notizia di Paul Feig alla regia di un thriller potrebbe provocarci una discreta perplessità. Lui, marchio riconoscibilissimo di commedie americane, più o meno trash, all’improvviso alle prese con un genere totalmente discorde e una sceneggiatura che si preannuncia pregna di colpi di scena e ritmi serrati. Una follia, probabilmente. Eppure, se ci andiamo a fare un giro per la rete, scopriamo che il suo esordio cinematografico, nel 2003, è stato “Io Sono David”, un film drammatico che pur non essendo thriller, non aveva comunque nulla a che vedere con le risate.

Prima di buttarsi a capofitto in produzioni più leggere, insomma, Feig aveva notificato di possedere (di avere attrazione?) uno sguardo più ampio di quello che poi ha scelto, o gli è stato chiesto di utilizzare. Uno sguardo, magari, che avrebbe avuto bisogno di sviluppare, di migliorarsi e non di venir chiuso dentro a un cassetto, come cause di forza maggiore hanno richiesto. Tuttavia, per lui, l’entrare in contatto con “Un Piccolo Favore”, adattamento del romanzo di Darcey Bell, altro non deve esser stato che riprendere un discorso lasciato aperto molti anni fa; un discorso che, forse, non sarà abbastanza denso, ora, da rivoluzionare la sua carriera artistica, ma neppure così frivolo da non riuscire a influenzargli il futuro. Perché non è affatto quello di un pesce fuor d’acqua l'approccio alla regia messo in mostra; di un impreparato in materia, anzi, se non fosse per qualche rigurgito (di troppo e fuori luogo) che, purtroppo, ogni tanto gli sfugge e non è in grado di controllare - dove, in sostanza, dell’umorismo grossolano prova a farsi largo a gomitate - faticheremmo addirittura a riconoscerlo all’opera. In quella che – sceneggiata da Jessica Sharzer – vorrebbe affacciarsi come una sorta di rivisitazione di “L’Amore Bugiardo: Gone Girl”, con Blake Lively nei panni di Rosamund Pike e Anna Kendrick e Henry Golding a spartirsi il ruolo che – con le dovute distanze e sfumature – fu di Ben Affleck.

Un Piccolo Favore Anna KendrickCome nel film di Fincher, quindi, anche qui c’è una donna splendida, quanto impalpabile e oscura, che a un certo punto scompare lasciando marito, figlio e migliore amica alle prese con la polizia e un mistero da risolvere: mistero che, ovviamente, è molto più contorto e anomalo di ciò che le apparenze e le indagini vorrebbero sostenere; decisamente meno orientato a partorire critiche feroci verso la nostra società, e dal quale noi spettatori – colpa di un’originalità non possibile, ormai - non rischiamo mai di farci cogliere impreparati o incerti. A meno che non siate carenti in materia, infatti, è la curiosità, non la suspense, a tenere alta l'attenzione verso "Un Piccolo Favore": vedere quando e come i nodi che abbiamo previsto verranno tirati su dal pettine, che tipo di qualità avrà l’intreccio messo a punto e come - una volta girate e mostrate tutte le carte – l’onda d’urto andrà a influire su vittime, carnefici e ordine delle cose.
Dinamica lineare, conciliante, non idonea ad accendere fiamme, ma calzante se lo scopo è quello di evitare che queste vadano a spegnersi del tutto.

Del resto, nonostante i molteplici twist innescati nel finale – apprezzabili e legittimi - il vero salto dalla poltrona, la pellicola di Feig, sa di non poterselo permettere. Lo sa perché conosce i suoi limiti e quali sono i suoi pregi. Una cognizione da non sottovalutare, che dovrebbe esser presa a esempio da parecchi, e che gli consente di coprire egregiamente il ruolo che gli spetta, limitando al minimo sbavature e esuberanze, spesso responsabili di disastri.

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