Dieci anni fa era Walt Kowalski, un reduce di guerra brusco e dalle tendenze razziste, con un’immensa passione per la sua Ford Gran Torino. Oggi, Clint Eastwood, torna davanti la macchina da presa per interpretare Earl Stone: anche lui un reduce di guerra razzista - non nei comportamenti, ma nel linguaggio - ma più accogliente verso il prossimo e con un'intera vita passata a coltivare fiori e piante. Se non fosse il temperamento a distanziarli un poco, insomma, potrebbero sembrare quasi fratelli, i due: sia per come guardano (critici) al futuro e – in questo caso, in particolare – alla tecnologia, sia per come certi cambiamenti finiscono per rivoluzionare pesantemente la loro (quasi) pacifica routine.
Se in “Gran Torino”, allora, ciò che si chiedeva a Kowalski era di ammorbidire i suoi pregiudizi e di imparare a conoscere l’altro, prima di disprezzarlo, in “Il Corriere: The Mule”, al povero Stone - distrutto dall’e-commerce floreale e separato da una famiglia che troppo spesso ha messo in secondo piano - gli viene chiesto, per sopravvivere, di re-inventare sé stesso in tenera età: con la prospettiva di sfruttare la sua abitudine a lavorare on-the-road, facendosi corriere della droga per un cartello messicano. Un mestiere facile, facile per chi, orgogliosamente, va dicendo in giro di non aver mai preso multe e di non essere stato mai fermato durante i suoi viaggi, in lungo e in largo, sulla superficie americana; e un mestiere con il quale, in brevissimo tempo, riesce a compiere risultati straordinari, diventando il trasportatore di punta – il più affidabile e il più carico - dei trafficanti e mettendo a posto ogni pendenza economica, non solo personale. Tutto merito di un carattere sornione, un po’ ingenuo e un po’ furbastro. Quel carattere che, quando hai a che fare con gente pericolosa, può risultare indispensabile a salvarti la pelle, ad entrare in sintonia, sebbene rischi di non servire a niente, nell'istante in cui decidi di provare a ricucire con tua moglie e tua figlia, sfruttando gli assist di una nipote che ancora continua a difenderti e a volerti intorno.
Se in “Gran Torino”, allora, ciò che si chiedeva a Kowalski era di ammorbidire i suoi pregiudizi e di imparare a conoscere l’altro, prima di disprezzarlo, in “Il Corriere: The Mule”, al povero Stone - distrutto dall’e-commerce floreale e separato da una famiglia che troppo spesso ha messo in secondo piano - gli viene chiesto, per sopravvivere, di re-inventare sé stesso in tenera età: con la prospettiva di sfruttare la sua abitudine a lavorare on-the-road, facendosi corriere della droga per un cartello messicano. Un mestiere facile, facile per chi, orgogliosamente, va dicendo in giro di non aver mai preso multe e di non essere stato mai fermato durante i suoi viaggi, in lungo e in largo, sulla superficie americana; e un mestiere con il quale, in brevissimo tempo, riesce a compiere risultati straordinari, diventando il trasportatore di punta – il più affidabile e il più carico - dei trafficanti e mettendo a posto ogni pendenza economica, non solo personale. Tutto merito di un carattere sornione, un po’ ingenuo e un po’ furbastro. Quel carattere che, quando hai a che fare con gente pericolosa, può risultare indispensabile a salvarti la pelle, ad entrare in sintonia, sebbene rischi di non servire a niente, nell'istante in cui decidi di provare a ricucire con tua moglie e tua figlia, sfruttando gli assist di una nipote che ancora continua a difenderti e a volerti intorno.

Lato tenero di una pellicola che, al fotofinish, riesce persino a fare inumidire gli occhi, a mettere i sentimenti (e l'esistenza) in primo piano e ad oscurare tutto quel ragionamento collaterale e politico sui messicani spacciatori che, in epoca trumpiana e con Eastwood esponente repubblicano per eccellenza, rischiava di prendere il sopravvento, sviando le attenzioni.
Cosa che, probabilmente, è accaduta tra i membri dell'Academy e che ha impedito a “Il Corriere: The Mule” di prenotare un posto (meritato) in platea, per gli Oscar che verranno.
Trailer:
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