Nel 1984, in Italia, tre studenti livornesi misero in imbarazzo giornalisti e critici d’arte costruendo tre teste di Modigliani, non autentiche, che nascosero dentro al Fosso Reale per alimentare la leggenda secondo la quale si credeva che lo scultore avesse realizzato e poi gettato alcune delle sue opere come reazione a delle prese in giro. Servì la loro smentita con tanto di prove, alla fine, per dimostrare che quei pezzi erano, in realtà, degli artefatti, il risultato di uno scherzo beffardo, fatto da dei ragazzi che - forse, o forse no - avevano solo intenzione di dimostrare qualcosa.
In molti dovettero fare i conti, infatti, con una verità che stava lì a confermare che l’oggettività nell'arte è paragonabile a qualcosa di liquido, di inafferrabile, di vago, e l’unica certezza a cui possiamo (e dobbiamo credere) aggrapparci, purtroppo, è l’emozione che quel determinato dipinto, scritto o oggetto che sia, è in grado di scatenare su noi singoli individui. Certo, poi per arrivare al beneficio del dubbio, al tentennamento nei confronti dell’autenticità di un’opera, è necessario che quest’ultima abbia seguito, o segua, determinati canoni: che ricalchi fedelmente lo stile del suo autore, i vezzi, i pregi e i difetti e, in casi particolari, persino i strumenti di composizione. Per approfondimenti in materia si potrebbe dare un’occhiata al libro dell’autrice Lee Israel che, in uno dei momenti più miserabili della sua carriera da scrittrice, a un certo punto (era il 1991), ha pensato bene di cominciare a pagarsi le bollette componendo lettere contraffatte di autori e celebrità famosissime, passate a miglior vita. Erano lettere private, valorizzate da frammenti intimi, umani e, spesso, sgraziati dell’artista: un lavoro per nulla banale e talmente accurato – credibile nella forma linguistica, nella tipologia della carta e nella macchina da scrivere utilizzata (la quale variava a seconda delle esigenze) - da riuscire a scatenare l’eccitazione di compratori e poi, a catena, di cultori e appassionati, disposti a sborsare cifre fuori mercato per accaparrarsele e aggiungerle alla loro collezione personale.
Una storia tanto assurda, quanto vera, portata al cinema dalla regista Marielle Heller e messa sulle spalle (robuste) di una Melissa McCarthy inedita, se non altro perché lontanissima dal suo solito ruolo di comica demenziale, un po’ sboccata. È un personaggio assai più complesso di quel che potrebbe apparire la sua Israel, allora, scaricata dalla sua editrice per via delle biografie non commerciali che continua a proporgli e incapace di svendersi pubblicamente in tv e in radio (come gli era stato consigliato di fare) a causa della sua intolleranza agli esseri umani (preferisco i gatti, ammette sincera): che è responsabile, inevitabilmente, di un'estrema solitudine, stemperata solo dalla dipendenza da alcol. Un personaggio, insomma, che per non sopperire ai colpi delle sue stesse debolezze – che le penalizzano pure l’ispirazione – e ribellarsi a un sistema che la preferirebbe ai margini, decide di compiere l’atto più reazionario, cinico e folle possibile, prendendosi gioco di quel mercato che non ha voluto riconoscerle il talento, proprio attraverso i lampi del suo talento cristallino.
Da essere umano emarginato, a tanti esseri umani simulati e alterati, capaci di rendere felici e far brillare gli occhi ad un mucchio di persone.
E' la svolta grottesca maggiormente affascinante di "Copia Originale", di un percorso chiaramente destinato a doversi interrompere e franare, ma non prima, però, di aver terminato quel processo di scongelamento all'interno di un cuore che, vuoi per merito di un partner stravagante e (piuttosto) speculare, vuoi per una celata e spiccata sensibilità, deve con urgenza ritrovare la strada per scaldarsi di nuovo, quantomeno tiepidamente.
Trailer:
In molti dovettero fare i conti, infatti, con una verità che stava lì a confermare che l’oggettività nell'arte è paragonabile a qualcosa di liquido, di inafferrabile, di vago, e l’unica certezza a cui possiamo (e dobbiamo credere) aggrapparci, purtroppo, è l’emozione che quel determinato dipinto, scritto o oggetto che sia, è in grado di scatenare su noi singoli individui. Certo, poi per arrivare al beneficio del dubbio, al tentennamento nei confronti dell’autenticità di un’opera, è necessario che quest’ultima abbia seguito, o segua, determinati canoni: che ricalchi fedelmente lo stile del suo autore, i vezzi, i pregi e i difetti e, in casi particolari, persino i strumenti di composizione. Per approfondimenti in materia si potrebbe dare un’occhiata al libro dell’autrice Lee Israel che, in uno dei momenti più miserabili della sua carriera da scrittrice, a un certo punto (era il 1991), ha pensato bene di cominciare a pagarsi le bollette componendo lettere contraffatte di autori e celebrità famosissime, passate a miglior vita. Erano lettere private, valorizzate da frammenti intimi, umani e, spesso, sgraziati dell’artista: un lavoro per nulla banale e talmente accurato – credibile nella forma linguistica, nella tipologia della carta e nella macchina da scrivere utilizzata (la quale variava a seconda delle esigenze) - da riuscire a scatenare l’eccitazione di compratori e poi, a catena, di cultori e appassionati, disposti a sborsare cifre fuori mercato per accaparrarsele e aggiungerle alla loro collezione personale.
Una storia tanto assurda, quanto vera, portata al cinema dalla regista Marielle Heller e messa sulle spalle (robuste) di una Melissa McCarthy inedita, se non altro perché lontanissima dal suo solito ruolo di comica demenziale, un po’ sboccata. È un personaggio assai più complesso di quel che potrebbe apparire la sua Israel, allora, scaricata dalla sua editrice per via delle biografie non commerciali che continua a proporgli e incapace di svendersi pubblicamente in tv e in radio (come gli era stato consigliato di fare) a causa della sua intolleranza agli esseri umani (preferisco i gatti, ammette sincera): che è responsabile, inevitabilmente, di un'estrema solitudine, stemperata solo dalla dipendenza da alcol. Un personaggio, insomma, che per non sopperire ai colpi delle sue stesse debolezze – che le penalizzano pure l’ispirazione – e ribellarsi a un sistema che la preferirebbe ai margini, decide di compiere l’atto più reazionario, cinico e folle possibile, prendendosi gioco di quel mercato che non ha voluto riconoscerle il talento, proprio attraverso i lampi del suo talento cristallino.
Da essere umano emarginato, a tanti esseri umani simulati e alterati, capaci di rendere felici e far brillare gli occhi ad un mucchio di persone.
E' la svolta grottesca maggiormente affascinante di "Copia Originale", di un percorso chiaramente destinato a doversi interrompere e franare, ma non prima, però, di aver terminato quel processo di scongelamento all'interno di un cuore che, vuoi per merito di un partner stravagante e (piuttosto) speculare, vuoi per una celata e spiccata sensibilità, deve con urgenza ritrovare la strada per scaldarsi di nuovo, quantomeno tiepidamente.
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