I denominatori sono quelli: Roberto Saviano, Gomorra, compreso Claudio Giovannesi, che di quella serie tv è stato chiamato a dirigere alcuni episodi. A cambiare, però, è la temperatura, l’approccio: perché “La Paranza Dei Bambini” a livello emotivo non lascia affatto freddi come “Gomorra: La Serie”, sebbene riesca a gelare il sangue, se possibile, ancora di più.
Lo stupore verso ciò che accade, verso le vite di questi adolescenti che, in qualche modo, sembrano segnate e destinate a spezzarsi, ad avvelenarsi, più per necessità che per aspirazione – anche se poi l’aspirazione, inevitabilmente, una volta varcata la soglia, comincia a farsi largo – si è esaurito, ormai. Il loro mondo, del resto, è stato oltremodo definito, raccontato, descritto in molteplici forme, oggi, al cinema (e in televisione) da non avere praticamente quasi più segreti e sbocchi. Bisogna scavare, allora, per recuperare qualcosa di nuovo, di fresco, e Giovannesi – che è un regista bravissimo, in questo – riesce perfettamente a prendere il romanzo di Saviano e a spremerlo in maniera tale da renderlo, si, prodotto parallelo al genere, ma anche per niente innocuo, superandone abbondantemente i (grossi) rischi. Più che polarizzare l’attenzione sulle scorribande, dare spazio a episodi di malavita e adeguarsi a quelli che potremmo definire gli archetipi della materia, infatti, “La Paranza Dei Bambini” - pur mostrando tutto ciò - prova a porre il suo accento sulla sensazione contrastante che può percepire un quindicenne alle prese con ciò che la sua età richiederebbe – e quindi pulsioni sessuali, divertimento sfrenato e voglia di affermazione – e ciò che gli sta imponendo di diventare (e di fare). Una conciliazione impossibile, di cui si è in grado di realizzarne la gravità solo quando è troppo tardi per poter tornare indietro, e capace di bruciare, quindi, vitalità e anima anche nei volti (e nei corpi) di coloro che, pensi, al dolore e alla paura siano (e debbano essere) oggettivamente immuni.
Madri dal volto spento e dal sorriso corto che non si oppongono a ciò che, probabilmente, avevano messo in conto; bambini che giocano a pallone, ma, anziché immaginare di alzare una coppa, bramano di riuscire a impugnare una pistola; ragazzi che col pallone, o con qualsiasi altro passatempo, sanno di non avere abbastanza talento per migliorare la loro condizione, cedendo, perciò, alla scorciatoia della criminalità. Ci catapulta in questa realtà, la pellicola di Giovannesi. O meglio, attraverso una regia fatta prevalentemente di camera a mano e piani stretti, la sensazione è proprio quella che provi a sbattercela addosso, a farci sentire parte integrante di essa, di un dramma sociale e esistenziale, assorbito meticolosamente dalle espressioni, dagli occhi e dai gesti silenziosi che vengono sciorinati man mano dai suoi (giovani) attori. Prende una storia dagli esiti pronosticabili – sui quali può farci poco – e dai paragrafi prevedibili – che, al contrario, appuntisce - e la impreziosisce con vibrazioni delicate, ma distinguibili; con picchi emozionali che vanno ad istituirle un tono tutt'altro che ridondante e/o stereotipato.
Un lavoro esemplare, degno di un autore che non tradisce ma conferma la sua intelligenza e il suo (già) riconosciuto talento, traendo il massimo, forse, da un testo che in mano a qualcun altro rischiava davvero di farsi ennesima fotocopia e passare pressoché inosservato.
Trailer:
Lo stupore verso ciò che accade, verso le vite di questi adolescenti che, in qualche modo, sembrano segnate e destinate a spezzarsi, ad avvelenarsi, più per necessità che per aspirazione – anche se poi l’aspirazione, inevitabilmente, una volta varcata la soglia, comincia a farsi largo – si è esaurito, ormai. Il loro mondo, del resto, è stato oltremodo definito, raccontato, descritto in molteplici forme, oggi, al cinema (e in televisione) da non avere praticamente quasi più segreti e sbocchi. Bisogna scavare, allora, per recuperare qualcosa di nuovo, di fresco, e Giovannesi – che è un regista bravissimo, in questo – riesce perfettamente a prendere il romanzo di Saviano e a spremerlo in maniera tale da renderlo, si, prodotto parallelo al genere, ma anche per niente innocuo, superandone abbondantemente i (grossi) rischi. Più che polarizzare l’attenzione sulle scorribande, dare spazio a episodi di malavita e adeguarsi a quelli che potremmo definire gli archetipi della materia, infatti, “La Paranza Dei Bambini” - pur mostrando tutto ciò - prova a porre il suo accento sulla sensazione contrastante che può percepire un quindicenne alle prese con ciò che la sua età richiederebbe – e quindi pulsioni sessuali, divertimento sfrenato e voglia di affermazione – e ciò che gli sta imponendo di diventare (e di fare). Una conciliazione impossibile, di cui si è in grado di realizzarne la gravità solo quando è troppo tardi per poter tornare indietro, e capace di bruciare, quindi, vitalità e anima anche nei volti (e nei corpi) di coloro che, pensi, al dolore e alla paura siano (e debbano essere) oggettivamente immuni.
Madri dal volto spento e dal sorriso corto che non si oppongono a ciò che, probabilmente, avevano messo in conto; bambini che giocano a pallone, ma, anziché immaginare di alzare una coppa, bramano di riuscire a impugnare una pistola; ragazzi che col pallone, o con qualsiasi altro passatempo, sanno di non avere abbastanza talento per migliorare la loro condizione, cedendo, perciò, alla scorciatoia della criminalità. Ci catapulta in questa realtà, la pellicola di Giovannesi. O meglio, attraverso una regia fatta prevalentemente di camera a mano e piani stretti, la sensazione è proprio quella che provi a sbattercela addosso, a farci sentire parte integrante di essa, di un dramma sociale e esistenziale, assorbito meticolosamente dalle espressioni, dagli occhi e dai gesti silenziosi che vengono sciorinati man mano dai suoi (giovani) attori. Prende una storia dagli esiti pronosticabili – sui quali può farci poco – e dai paragrafi prevedibili – che, al contrario, appuntisce - e la impreziosisce con vibrazioni delicate, ma distinguibili; con picchi emozionali che vanno ad istituirle un tono tutt'altro che ridondante e/o stereotipato.
Un lavoro esemplare, degno di un autore che non tradisce ma conferma la sua intelligenza e il suo (già) riconosciuto talento, traendo il massimo, forse, da un testo che in mano a qualcun altro rischiava davvero di farsi ennesima fotocopia e passare pressoché inosservato.
Trailer:
Commenti
Posta un commento