Serenity: L'Isola Dell'Inganno - La Recensione

Serenity McConaughey
Avete presente quella famosa frase che recita: “Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”?
Ecco, con il “Serenity: L'Isola Dell'Inganno” di Steven Knight, esagerando un tantino, potremmo dire che sia andata proprio in questo modo: massacrato da pubblico e critica (ma anche dalla sua stessa casa di produzione e distribuzione) a causa di un dito che, magari, non stava indicando esattamente la luna, ma comunque puntava a qualcosa di decisamente più interessante.

Perché si, onestamente, se ci mettessimo a giudicare il film di Knight dalla superficie, e quindi mettendone da parte tutta la costruzione, le ambiguità e le scelte di racconto, allora ci troveremmo di fronte a una storia banale, debole, per alcuni addirittura perditempo e inverosimile. Però - al di là di un colpo di scena che può piacere, come deludere - nel suo mettere insieme i pezzi, stuzzicare lo spettatore e provocarlo con indizi – seminati in scene, dialoghi e in montaggio – decisamente sospettosi, che rischiano addirittura di svelare anticipatamente le sorti che verranno, possiamo dire che “Serenity: L'Isola Dell'Inganno” sia assolutamente efficace e organizzato come pochi. Senza entrare in quello che potrebbe essere denominato come un campo minato di spoiler, infatti, non serve arrivare troppo a fondo nel conflitto per cominciare a comprendere che la realtà in cui si muove il pescatore di tonni giganti (e squali) Matthew McConaughey - ossessionato, nemmeno fosse Akab, da un tonno in particolare che non riesce a catturare e che ha ribattezzato Justice - sia leggermente sinistra e alterata: basti ascoltare il buongiorno dello speaker della radio nella sua macchina, la connettività mentale che lo lega a un figlio che non vede da anni, o fare caso alle movenze artificiali dello strano businessman che lo sta cercando, sbucato all'improvviso sull'isola di Plymouth dove lui ha scelto di vivere in esilio. Preavvisi, avvisaglie che Knight – da sceneggiatore intelligente qual è – semina senza approfondirne troppo la natura, finge di smarrire distratto, en passant, sempre attentissimo però a non svelarne mai – fino a quando non sarà necessario, ovviamente - la portata e lasciando perciò innumerevoli interrogativi e incertezze sulle pieghe che verranno a formarsi.

Serenity KnightCi troviamo di fronte a un film di fantascienza? A un thriller psicologico? Un noir?
Cominciamo a chiedercelo, a un certo punto. Specie dopo che all'interno del mosaico fa capolino anche una sensualissima Anne Hathaway che svela di essere la ex del nostro protagonista, nonché madre del figlio con cui lui si tiene telepaticamente in contatto: tornata per offrirgli dieci milioni di dollari in cambio della morte del marito-gangster – violento e pericoloso - che a breve la raggiungerà sull'isola per darsi alla pesca, proprio attraverso l’esperienza che McConaughey offre ai turisti per guadagnarsi da vivere. E sono loro gli ultimi membri di un equipaggio che a questo punto può finalmente salpare, intraprendere la traversata, spingersi in mare aperto, barcamenandosi tra il ciò che sembra e il ciò che è: che resta l’unica base su cui la pellicola di Knight si ancora, probabilmente, per rimanere a galla il più possibile. Per non imbarcare troppa acqua dalle rivelazioni, i chiarimenti e gli azzardi che mano mano iniziano a fare capolino, a schiarire il torbido, mettendo oggettivamente a dura prova la fiducia e la pazienza dello spettatore che, tuttavia, se non altro, dovrebbe sforzarsi di apprezzare se non la meta, perlomeno il viaggio.

Perché se concretamente è legittimo sostenere che il dito non può essere ignorato del tutto, nemmeno si può non tener conto dell'intenso carisma elargito dalla (mezza)luna: contenuto nell'enigmaticità di una trama che, seppur non indimenticabile e discutibile, sotto certi aspetti, sa come rendere sé stessa accattivante e avvincente dalla prima all'ultima scena.
Cosa che farebbe comodo a tantissimi titoli osannati, magari, da (certa) critica e/o pubblico.

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