Vox Lux - La Recensione

Vox Lux Portman
Il pop, il glamour, il successo.
C’è tutto questo e molto di più, nel “Vox Lux” di Brady Corbet, che molto coerentemente con quella che era stata la sua opera prima – il notevolissimo “L’Infanzia Di Un Capo” - porta avanti riflessioni e punti di vista antropologici, in un discorso causa-effetto intelligente che questa volta decide di esporre in maniera assolutamente più mainstream, con l’ambizione e l’urgenza, forse, di aumentarne volume e raggio di azione.

Una scelta comprensibile e che va di pari passo a una storia che racconta - divisa in capitoli, scanditi da momenti cruciali della cronaca recente americana – l’ascesa musicale di un’adolescente scampata alla strage omicida avvenuta nella sua scuola, che nella fase di recupero e post-traumatica si scopre voce di dolore di un’intera comunità prima, e di un intero paese poi. Non si nasconde del resto Corbet, e che il suo film nasca per rappresentare un ritratto del secolo che stiamo vivendo ce lo scrive chiaramente dentro-alla-O del titolo – sia sul manifesto che durante la visione – quasi come a volerci indirizzare, inoltrare e coinvolgere verso la sua analisi che, stavolta, suona più come un’esortazione che come semplice, ma profonda esposizione. La paura, il dolore, le incertezze che quest’epoca continua a restituirci sono state assorbite, gestite e curate da noi – dalla maggior parte di noi, almeno – attraverso la medicina del pop. Un pop che in “Vox Lux” viene descritto come la musica che spegne il cervello, come una droga in grado di scacciare i diavoli e di riportare a un effimero benessere, ma che – allargando i confini e i canali – non si discosta poi tantissimo dalle trasmissioni che possiamo trovare nei palinsesti televisivi nostrani, dalla maggior parte dei remake/sequel e blockbuster che dominano le uscite cinematografiche, o da qualsiasi altra forma d’intrattenimento che contribuisce a spostare le attenzioni e ad abbassare il livello cerebrale generale.

Vox Lux PortmanIl risultato, allora, è quello di un pop che rischia di somigliare sempre di più al trash; che sta perdendo la sua identità e il suo lato nobile – perché il pop un lato nobile ce l’ha, eccome – per terminare la sua involuzione in un vacuo definitivo nel quale potremmo rimanere incastrati anche noi. Perché, in fondo, è solo nell’assenza più totale di valori e di intelletto che si può arrivare al punto in cui non conta più cosa vendi, ma come ti vendi, una frase che la Natalie Portman della pellicola imprime a sua figlia come fosse un consiglio di cui fare tesoro, ma che nelle orecchie di noi spettatori – e speriamo di tutti - suona come un monito atroce da cui vorremmo andare a salvarla. Eppure le parole di Celeste – il personaggio della Portman – non sono poi così sbagliate, anzi, ad essere sinceri sono perfettamente in linea con l’attualità, con il presente, con gli effetti collaterali di quell'influenza da cui Corbet vorrebbe svegliarci e salvarci, sebbene, poi, nel farlo smarrisca l'efficacia dei modi, agendo spesso bruscamente.

E dire che, per certi versi, il suo “Vox Lux” aveva tutte le carte in regola per imporsi impetuosamente, per eguagliare l’ottimo lavoro ostentato nella sua opera precedente, bastonando noi spettatori e costringendoci ad assumerci delle colpe che teoricamente ci avrebbero fatto bene, ma che, in pratica, finiamo con lo schivare - o per alleggerire - su tutta la linea.
E qui, non per demerito nostro.

Trailer:

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