Midsommar: Il Villaggio Dei Dannati - La Recensione

Midsommar Ari Aster
Uno dei motivi – se non il motivo – che mi aveva impedito di apprezzare “Hereditary: Le Radici Del Male” era stato il personaggio di Gabriel Byrne: un padre fantoccio nelle reazioni e nei comportamenti, avente peso specifico non indifferente nell'andare a muovere la storia, cosa che contribuiva a rendere il tutto decisamente fastidioso, forzato e assurdo.
Fortunatamente in “Midsommar: Il Villaggio Dei Dannati”, il nuovo horror – che poi è più un thriller - scritto e diretto da Ari Aster, un personaggio analogo non è presente, ma solo perché si è preferito spezzettare e ripartire quel nonsense in piccole dosi, tra buona parte dei protagonisti.

Eppure comincia col piede giusto, la pellicola, con un episodio nel quale viene immediatamente messa in luce la dinamica di coppia presente tra Dani e Christian: lei insicura e fragile, abituata ad aggrapparsi continuamente al suo ragazzo e lui stanco e insoddisfatto di questa situazione, ma incapace di risolverla, rompendo il legame per tornare a divertirsi, come i suoi (migliori) amici provano a consigliargli. A complicare le cose ci pensa, poi, lo sviluppo dell’episodio di cui sopra, che si trasforma in shock per la ragazza e costringe Christian a portarsela dietro nel viaggio in Svezia con la sua comitiva, dal quale inizialmente era stata esclusa. Svolta dalla quale arrivano i problemi, sia per loro che per noi. Perché “Midsommar: Il Villaggio Dei Dannati” intraprende la sua discesa verso quell’archetipo classico del genere che vede dei turisti alle prese con una comunità e delle tradizioni che vanno al di fuori della loro cultura; che inizialmente hanno l’unica grana di apparire strambe e teatrali, ma che a lungo andare – come da consuetudine – si rivelano simili a una prigione da cui non è affatto semplice fuggire. Una prigione, però, nella quale non capitano per caso, non vengono tirati dentro a forza, bensì invitati da uno degli amici più fidati di Christian che, proprio per questo, non può permettersi di mantenere un profilo basso - come invece avviene - nel procedere di una storia che, infatti, risulta, improvvisamente, stracolma di ritardati mentali e perciò in perdita di tensione e di presa.

Midsommar AsterSi fosse trattato di un prodotto dai toni simili a “Quella Casa Nel Bosco”, ci si poteva anche passare sopra, ma nonostante l’umorismo nella pellicola di Aster ci sia – e funziona, a volte persino involontariamente – non è quello il riferimento principe a cui il regista intende guardare. Le sue ambizioni sono più alte, più serie, ma strozzate da una sceneggiatura che – come accadeva nel suo lavoro precedente – a causa di certe battute e a causa di certe azioni incomprensibili, si autolesiona: facendosi attirare maggiormente dalla costruzione di scene sinistre, fine a sé stesse, e da sequenze splatter talmente gratuite e reiterate da risultare fastidiose quanto sadiche. Il tutto a discapito del cammino emotivo e viscerale della vera protagonista – Dani – che va a perdere di enfasi, di importanza e di terrore, ritagliandosi un misero dialogo, relativo alla famiglia e all'accoglienza, - collocato nella parte centrale - e una chiusura che sottende un’accettazione ben precisa, ma che sarebbe stato bello vedere da vicino e non dare per scontata.

In prospettiva aveva tra le mani qualcosa di sostanzioso, Aster, insomma.
Sotto l'ego del suo film c’è un trattato oscuro sull'essere umano, sul suo bisogno d'affetto e sulle debolezze che lo trascinano, spesso, fuori rotta, alterandone la natura e tirandone fuori il peggio. Peccato aver voluto manipolare il tutto con arroganza e freddezza, prendendo ispirazione, magari, da autori moderni come Jordan Peele e Yorgos Lanthimos, piuttosto che dall'M. Night Shyamalan di The Village” – che comunque resta uno dei modelli – che con un copione così avrebbe tirato fuori qualcosa di sicuramente più pregiato.

Trailer:

Commenti