Spider-Man: Far From Home - La Recensione

Spider-Man: Far From Home
Il lavoro portato avanti da Jon Watts (e dagli sceneggiatori Chris McKenna ed Erik Sommers), legato alla genesi del nuovo Spider-Man, si conferma tra i più piacevoli e coerenti che potessimo immaginare. In “Spider-Man: Far From Home”, infatti, emerge chiarissima la volontà di proseguire il viaggio del giovane eroe, non abbandonando il genere del coming-of-age e i riferimenti al cinema di John Hughes già intravisti nel capitolo d’esordio, ponendoli al di sopra degli oneri controproducenti causati dalle zavorre del blockbuster-movie, del marvelverse e dello spettacolare e imprescindibile circo che, a un certo punto, deve forzatamente impadronirsi della scena.

Del resto quello di Tom Holland è il Peter Parker più giovane visto in versione live-action e per il quale – di conseguenza - la fatidica frase “da un grande potere derivano grandi responsabilità” ha un valore diverso, pesantissimo, enorme da portare. Come se non bastasse, poi, gli eventi accaduti in “Avengers: Endgame” finiscono per aggravare ulteriormente la sua posizione – e il suo stato emotivo – sollecitandolo ad adempiere a una maturità a lui ancora sconosciuta che con la vacanza in Europa, che sta al centro di questo sequel, vorrebbe provare almeno a mettere in stand-by, riprendendo contatto con quell'adolescenza che, all'improvviso, gli comincia ad apparire così lontana, quanto necessaria. Deve dirigere due film, allora, Watts: il primo – il migliore, quello da cui non vorremmo scostarci mai – vede una classe di ragazzini spassarsela tra Venezia, Praga, Berlino e Londra (passando per l’Olanda) con un Parker imbranato che non trova il coraggio (e il tempo) per confessare a MJ i suoi sentimenti, mentre il secondo ruota attorno a questi esseri elementali, venuti da un universo alternativo, che devono essere assolutamente sconfitti per non rischiare – come è accaduto al Mysterio di Jake Gyllenhaal (anche lui reduce dal multiverso) - che il Pianeta Terra collassi sotto la loro furia.
Due generi agli antipodi, insomma, che trovano parziale connessione solamente quando a emergere e ad allinearli entra in gioco la figura (e l'eredità) immortale di Tony Stark: lo zio Ben di turno, che, non a caso, porta con sé una componente drammatica robusta, decisiva e appassionante.

Spider-Man HollandPerché, va detto: una reale costanza o un equilibrio adeguato, non riuscirà mai a trovarlo, questo “Spider-Man: Far From Home”, ma nonostante ciò – ed è merito di Watts - sa sempre come tenere vivo, nello spettatore, quello spirito vivace e goliardico che gli impedisce di distrarsi. Certo, poi potremmo dire che avrebbe potuto gestire meglio il personaggio di Mysterio; che avrebbe potuto ridurre o tagliare i combattimenti contro gli elementali e qualche spiegone messo, lì, in coda; però quando un film di questo tipo, al netto di tutti i suoi difetti medio-piccoli, riesce lo stesso a non far svanire la percezione positiva che si ha di lui, significa che tendenzialmente il suo obiettivo a casa ce lo ha portato, eccome. E la maggior parte di questo merito sta nella bravura di Holland nel riuscire a mettere in evidenza, in quei pochi istanti in cui gli è permesso, le fragilità e le insicurezze tipiche di un ragazzino della sua età; sta in una scrittura che sceglie di allestire il passaggio di consegne della pellicola attraverso un percorso fatto di errori, ingenuità, riflessioni e citazioni – fisiche, estetiche, musicali – entusiasmanti, che gli appassionati incalliti non mancheranno di cogliere e di apprezzare con tanto di lacrimuccia; sta nel non infilarsi oltremisura in quello spunto attuale e affascinante, ma pure soffocante e pericoloso, su verità, post-verità e bisogno di eroi.

Uno slancio creativo intricato, azzardato; al passo coi tempi, ma macchinoso (e pericoloso) da amalgamare in un contesto illimitato e fantasioso come questo: dove, appunto, anziché arricchire, la sensazione ogni volta è quella di un estraniamento che, per fortuna, viene quasi subito individuato e quindi (moderatamente) assestato.
Tutto in favore, ovviamente, del continuare a prendersi meno sul serio possibile.

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