
Lo fa nel coro della chiesa della sua isola – quella di Wight – con l’autorizzazione della madre e poi di nascosto in un pub, dove si esibisce in delle cover pop, che rappresentano realmente la sua anima e i suoi interessi. Un giorno viene a sapere di un contest alla-X-Factor - il Teen Spirit del titolo - che cerca talenti dalle sue parti e, nonostante le difficoltà economiche famigliari – complice anche un padre sparito chissà dove – la vorrebbero concentrata sullo studio e sul lavoro da cameriera, decide lo stesso di buttarsi e partecipare.
Di sicuro non la ricorderemo per l’originalità questa opera prima scritta e diretta da Max Minghella (il figlio di Anthony), che tra l’altro non fa neanche nulla di davvero convincente per istituire al modello di orientamento qualcosa di innovativo o al passo coi tempi. Gli eventi che si susseguono in “Teen Spirit” sono piuttosto prevedibili e telefonati, palesemente ispirati ai classici del genere che lo hanno preceduto e che – simpaticamente e onestamente – non si vergogna neppure di citare: vedi “Flashdance”. Solo in un accenno, forse, la mano di Minghella riesce a scrollarsi di dosso il pilota automatico e a sporcarsi di autorialità, ma parliamo di una punta, di un lampo: come quando vai al mare e decidi di avvicinarti alla riva bagnandoti esclusivamente le caviglie. Nello specifico succede quando la sua protagonista sbarca a Londra per le fasi finali del contest e all'improvviso gli viene catapultata addosso questa industria fabbrica-talent che ha una facilità disarmante nel procacciare fantomatici artisti e portarli in cima, pari solo alla velocità con cui riesce a fargli perdere, poi, contatto con la realtà, a spolparli, lasciandoli a terra agonizzanti. Un processo che non vediamo integralmente nella storia, che Minghella stimola magari anche per caso, ma che a un certo punto – attraverso un paio di scene – si fa tendenzialmente nitido e avvertibile, ricordandoci come nei tempi che stiamo vivendo la voracità nel mondo dello spettacolo si sia ritagliata un ruolo pericolosamente dominante.

Il rapporto che instaura con Vlad – ex cantante d’opera caduto nell'alcolismo, improvvisatosi suo manager e coach vocale – è tra le cose migliori della sceneggiatura e anche se avrebbe dovuto e potuto godere di un’amplificazione maggiore, sa comunque come fare per lasciare un segno e pungere emotivamente.
E' un esordio imperfetto, allora, quello di Minghella, da rivedere soprattutto in termini di coraggio e audacia di scrittura. Molto meglio, senza ombra di dubbio, sono invece gli sforzi che dedica agli aspetti della regia: la scelta degli attori, la direzione, la forma estetica. Fattori che vanno a esaltare e a coprire le debolezze e le superficialità di un prodotto che, alla fine, porta a casa più di quanto, sulla carta, avrebbe sperato di raggiungere.
Grazie a un'Attrice con la A maiuscola, che ha il potere di farci cadere a terra la mascella a ogni inquadratura.
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