Capire chi è chi e che tipo di connessione, strascico o sospeso hanno fra loro, è irrilevante. Perché “Fast & Furious: Hobbs & Shaw” ufficialmente nasce come spin-off di “Fast & Furious”, ma nella pratica è un action a sé stante, che serve a mettere insieme Dwayne Johnson e Jason Statham per farli giocare a chi è più maschio alfa tra loro, attraverso siparietti niente male. Si, il loro retaggio, le macchine e il passato, un po’ c’entrano pure, ma leggermente a forza e per via di una furbizia che serve, per lo più, a richiamare all’appello uno zoccolo duro di fan che comunque non si sentirà tradito.
Non si sentirà tradito nonostante il gioco preveda di non prendersi mai sul serio, di non provarci nemmeno a imitare la saga di origine, allontanandosi da essa fin da subito e buttandola in caciara a tal punto da scadere nella commedia. Una commedia testosteronica, ma pur sempre una commedia. E non è una mossa sbagliata, anzi, forse è il punto di forza di una pellicola che scrollatasi di dosso il più velocemente possibile una trama che somiglia molto a un pretesto, non vede l’ora di darci dentro e di divertirsi lei per prima a mettere faccia a faccia questi due bestioni - abituati a lavorare da soli e a darsele di santa ragione - e costringerli, in un modo o nell’altro, a collaborare insieme e ad evitare la solita minaccia che rischia di mettere in pericolo il nostro pianeta. Una sorta di “Avengers” in forma ridotta, quindi, con Hulk – o She-Hulk per utilizzare l’etichetta che Statham appioppa a Johnson – e Thor che devono sfidare un Black Panther cattivo – che, però, preferisce paragonarsi a un Superman nero – e tecnologicamente modificato, convinto che il futuro dell’umanità (e del pianeta) dipenda dalla morte dei più deboli e dalla resistenza formata dagli ibridi come lui: motivo per cui deve assolutamente recuperare le capsule del virus finite nelle vene della sorella di Statham, che in questo quadretto potremmo paragonare a una sorta di Vedova Nera scaltra e impossibile da domare.
Non si sentirà tradito nonostante il gioco preveda di non prendersi mai sul serio, di non provarci nemmeno a imitare la saga di origine, allontanandosi da essa fin da subito e buttandola in caciara a tal punto da scadere nella commedia. Una commedia testosteronica, ma pur sempre una commedia. E non è una mossa sbagliata, anzi, forse è il punto di forza di una pellicola che scrollatasi di dosso il più velocemente possibile una trama che somiglia molto a un pretesto, non vede l’ora di darci dentro e di divertirsi lei per prima a mettere faccia a faccia questi due bestioni - abituati a lavorare da soli e a darsele di santa ragione - e costringerli, in un modo o nell’altro, a collaborare insieme e ad evitare la solita minaccia che rischia di mettere in pericolo il nostro pianeta. Una sorta di “Avengers” in forma ridotta, quindi, con Hulk – o She-Hulk per utilizzare l’etichetta che Statham appioppa a Johnson – e Thor che devono sfidare un Black Panther cattivo – che, però, preferisce paragonarsi a un Superman nero – e tecnologicamente modificato, convinto che il futuro dell’umanità (e del pianeta) dipenda dalla morte dei più deboli e dalla resistenza formata dagli ibridi come lui: motivo per cui deve assolutamente recuperare le capsule del virus finite nelle vene della sorella di Statham, che in questo quadretto potremmo paragonare a una sorta di Vedova Nera scaltra e impossibile da domare.

Così, se non si hanno problemi - e fidatevi, alla fine non ne avrete - a chiudere gli occhi su quelle due, tre (ma facciamo pure quattro, cinque, sei, sette...) cose inverosimili che accadono sul grande schermo - che voi direte: "Vabbè, ma in questi film è normale!"; vero, ma stavolta siamo proprio oltre ogni limite – e che contribuiscono alle risate e al rifornimento dei pop-corn in sala, non sarà difficile apprezzare l’idea (e gli intenti) di un blockbuster estivo concepito con la missione unica di farci passare in un batter d’occhio quel paio d’ore abbondanti che, magari, abbiamo ritrovato in avanzo.
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