Le Ragazze Di Wall Street - La Recensione

Le Ragazze Di Wall Street Film
Leggere il nome di Adam McKay tra i produttori di “Le Ragazze Di Wall Street”, più che sbalordire, tende a schiarire notevolmente le idee, a dare coerenza. Assistendo allo spettacolo messo in scena dalla regista e sceneggiatrice Lorene Scafaria, spesso infatti si ha la sensazione di stare di fronte a un prodotto rimasto profondamente influenzato da “La Grande Scommessa”, al punto non di emularlo, magari, ma comunque di riuscire a rubare quanto più possibile da esso.

Diciamo che compie lo stesso lavoro, ma al contrario, la pellicola: aumentando i momenti distensivi, romanzati, con i quali far accomodare e divertire lo spettatore, e riducendo tutta quella parte più politica, più tecnica e di cronaca, a dei piccoli pezzi da incastrare in dei punti specifici. Perché quello di “Le Ragazze Di Wall Street” – traduzione orrenda, peraltro, dall’originale “Hustlers” – racconta, a modo suo, come la crisi economica del 2008 colpendo i potenti sia ricaduta, immancabilmente, anche su chi da quei potenti prendeva gli spicci, riuscendo a camparci. Non è un mistero, del resto, che le ragazze di cui parla il titolo siano delle spogliarelliste: studentesse, madri o talentose performer che sfruttando la loro bellezza, la sensualità e qualche trucco del mestiere, si approfittano dei businessmen che – in incognito o alla luce del sole – frequentano il loro locale, provocandoli e coccolandoli affinché sborsino più centoni possibili. Un giro di denaro che, se sai come muoverti, o – nel caso della protagonista Destiny – a chi affidarti – Jennifer Lopez potrebbe essere un ottimo sponsor – potrebbe aiutarti a scacciare via parecchie grane e, in rari casi, permetterti pure di vivere una vita piuttosto agiata, sebbene a livello di certezze e di prospettive non sia esattamente il massimo su cui poter contare.

Le Ragazze Di Wall Street FilmMa non era a quello che stavano pensando le protagoniste di questa storia - che poi è tratta da un fatto di cronaca pubblicato sul New York Magazine nel 2016, dalla giornalista Jessica Pressle – quando hanno deciso di reagire al calo degli affari (e all’avanzata delle spogliarelliste russe, molto più disponibili) drogando i loro clienti e truffandoli, sapendo che nessuno avrebbe avuto il coraggio – in quanto uomo – di denunciare un raggiro subito da una donna. La motivazione principale della Lopez – ufficialmente leader e mente del gruppo – era quella di smettere i panni della spogliarellista e di diventare lei stessa una businessman: perché – come ammette durante la sua confessione – tutta l’America somiglia a uno stripper club, ovunque c’è qualcuno che balla e qualcun altro disposto a lanciargli denaro. Alcuni però la fanno più franca di altri.
Una battuta di quelle colpito e affondato che pone ulteriori dubbi sul temperamento di un film costantemente indeciso se prendere una strada più commerciale, o concedersi a un profilo più serio: stallo che risolve fermandosi al centro, con la testa rivolta verso la prima opzione.

Nonostante McKay in produzione, nonostante le potenzialità, gli slanci e i richiami, la Scafaria evidentemente non se l'è sentita di abbandonare la sua comfort zone e sperimentare quel cinema d’autore che, di certo, avrebbe saputo esaltare maggiormente la vicenda che racconta. Non ha voluto rischiare di perdere il controllo e di andare a sbattere e, forse, considerando il risultato - complessivamente buono - del suo operato, per stavolta è giusto così.

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