High Life - La Recensione

High Life Pattinson
Comincia come fosse un “The Martian” più introspettivo e privato totalmente del contatto tra pianeta Terra e astronauta, ma poi si trasforma improvvisamente in una sorta di “Alien” dove il mostro da uccidere, però, è racchiuso all’interno di ognuno dei passeggeri.
Già, perché in “High Life” a un gruppo di criminali condannati a morte viene data una seconda possibilità di vita, di riscatto, attraverso una missione – con altissime probabilità di morte – che li spedirà nello spazio alla scoperta di un buco nero dal quale dovrebbero essere in grado di estrarre una nuova fonte di energia.

Praticamente un “Suicide Squad” destinato ad implodere, a soffrire degli ingombranti punti deboli, soprattutto psicologici, del suo team – compresa la dottoressa interpretata da Juliette Binoche – al punto da non riuscire mai a mettere a fuoco veramente quel che dovrebbe essere il suo reale obiettivo, ma solo il conto alla rovescia di un fallimento che pare una questione di giorni, o di ore. E in effetti ciò che accadrà lo vediamo al pronti, via, quando, pur non avendo ancora ben chiaro l’intero puzzle di cui sopra, troviamo un Robert Pattinson uomo solitario di questa navicella, intento a riparare ingranaggi e a fare da padre alla piccolissima Willow. Le risposte latitano e le domande aumentano e sarà così fino a quando non cominceranno i primi flashback che ci riporteranno anche a voci di una Terra attaccata da virus e da parassiti e ad esseri umani perfetti da generare in provetta. Il male assoluto messo alla ricerca del bene, quindi, della speranza; consapevole della fregatura che gli è stata promessa, eppure intento a impegnarsi, affinché quell’illusione di cancellare gli errori del passato possa davvero diventare realtà. Dietro la scorza dei criminali (che ai nostri occhi non lo sono finché non ci vengono rivelati come tali), infatti, c’è la fragilità delle persone; di chi sta provando a combattere la lotta interna tra il cattivo che ormai deve essere – secondo la società, secondo il sistema – e quel buono che vorrebbe tanto ritrovare e, poi, riscattare.

High Life PattinsonUn conflitto che “High Life” assorbe e restituisce in gran parte attraverso il suo passo, le sue atmosfere: caratterizzate da momenti più silenziosi e rilassati, alternati repentinamente da altri in cui a spiccare è la violenza, l’instabilità mentale, oppure l’originalità singolare di alcune trovate – come, per esempio, la stanza dedicata al piacere dove i presenti possono recarsi per andare a sfogare, privatamente, i loro istinti sessuali. E allora, quella diretta da Claire Denis, diventa una pellicola fatta di strappi, di intervalli, dove magari si resta a debita distanza dai personaggi e dalla loro morale – non potendo individuare un riferimento ideale – ma dove spesso a catturare l’occhio e la tensione è la forza delle immagini, dei colori, di una messa in scena curatissima, nella quale si intravedono sia le influenze che gli spunti personali fissati dalla regista.

E se è vero che da un punto di vista narrativo manca qualcosa, un collante incisivo forse, che possa chiudere l'epopea di questa prigione spaziale in maniera maggiormente marcata, va altrettanto riconosciuta alla Denis la capacità di aver saputo creare un immaginario diverso e particolare, vivace abbastanza da riuscire a lasciare qualcosa e a fungere magari da impronta per il futuro, per chiunque fosse interessato ad approcciare il genere.

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