Al contrario di come suggerisce il titolo, pensare di finirla qui, con il film di Charlie Kaufman, è un’operazione sostanzialmente impraticabile. Certo, possiamo imporre alla nostra mente e ai nostri pensieri di passare oltre, di passare ad altro; di piantarla di stare lì ad arrovellarsi su quella scena, su quel personaggio, sul significato di quel comportamento, piuttosto che di quella battuta.
Ma – appunto – sarebbe un’imposizione e, in quanto tale, sarebbe innaturale.
Del resto è lo stesso Kaufman a ricordarcelo: alla mente non si comanda.
Possiamo ingannarci quanto vogliamo, credere di avere noi il controllo, di essere abbastanza lucidi per ammettere che se i nostri occhi notano qualcosa di sinistro, il problema non siamo noi, ma ciò che ci circonda: al punto da mettere in discussione la realtà stessa, pur di salvaguardare la nostra fragile salute mentale. E già portandoci a fare questo tipo di ragionamenti e di premesse, è evidente quanto “Sto Pensando Di Finirla Qui” sia un’opera complessa, fuori dal comune, ingarbugliata: come lo sono, alla fine, tutte le opere scritte dal suo autore. Perché Kaufman è questo, in fondo, ed è per questo motivo che non possiamo (e non dobbiamo) farne a meno; che ne restiamo attratti, incuriositi, stregati. In fondo, ce ne sono pochi, pochissimi, in giro, di sceneggiatori (e registi) capaci di metterci in contatto col nostro subconscio, coi nostri istinti, le nostre paure. Prendere lo spettatore e riuscire a farlo immergere – fin dalla prima scena – nello stato d’animo di un personaggio alle prese con le sue riflessioni, con il suo flusso di coscienza e, nel frattempo, renderlo complice anche delle percezioni – strane, stranissime – che quel medesimo personaggio sta ricevendo dal mondo vero, effettivo, non solo è un lavoro geniale e che in pochi si sognerebbero di fare, ma contemporaneamente è un lavoro pericoloso e immane: perché il rischio è di andare a cercare ambizioni difficili da raggiungere.
Ambizioni che però Kaufman riesce a soddisfare su tutta la linea, dimostrando di saper affiancare al un livello egregio di scrittura – la sua specialità – un livello altrettanto egregio di abilità registica. La maniera nella quale coordina luci e inquadrature nella (lunga) scena – a mio avviso migliore del film – della cena, dove i personaggi sono intenti a raccontare e a rivangare il loro passato, è uno dei momenti horror più terrificanti visti sullo schermo negli ultimi anni, oltre che a una lezione di regia cinematografica da implementare nelle scuole. Il modo in cui gioca con gli attori, con il loro trucco (invecchiandoli e ringiovanendoli, a seconda delle esigenze), suggestionando la protagonista e andando a togliere il terreno sotto i piedi a noi spettatori, è un qualcosa di unico, di straordinario, che mette i brividi sia per potenza delle immagini, sia perché ci ricorda le infinite risorse del cinema-tutto.
Tuttavia, se “Sto Pensando Di Finirla Qui” è un film immenso, inesauribile e affascinante, non è solamente per via della sua forma estetica e dei suoi virtuosismi. Il linguaggio che utilizza non è mai fine a sé stesso, infatti, ma assolutamente orientato a dare un senso a quel contenuto che ci verrà rivelato (chiaramente?) all'interno di un finale che se appare confuso, lo è solo in apparenza.
Ci parla di rimpianti, allora, di vite non vissute che potevano essere possibili, di somme da tirare e di scherzi della mente, Kaufman e il suo adattamento dell'omonimo romanzo di Iain Reid non poteva trovare un percorso migliore di questo. Una storia fuori da ogni schema, che agisce sulla testa dello spettatore innescando un loop col quale saremo costretti a convivere (felicemente) per chissà quanto tempo.
Trailer:
Ma – appunto – sarebbe un’imposizione e, in quanto tale, sarebbe innaturale.
Del resto è lo stesso Kaufman a ricordarcelo: alla mente non si comanda.
Possiamo ingannarci quanto vogliamo, credere di avere noi il controllo, di essere abbastanza lucidi per ammettere che se i nostri occhi notano qualcosa di sinistro, il problema non siamo noi, ma ciò che ci circonda: al punto da mettere in discussione la realtà stessa, pur di salvaguardare la nostra fragile salute mentale. E già portandoci a fare questo tipo di ragionamenti e di premesse, è evidente quanto “Sto Pensando Di Finirla Qui” sia un’opera complessa, fuori dal comune, ingarbugliata: come lo sono, alla fine, tutte le opere scritte dal suo autore. Perché Kaufman è questo, in fondo, ed è per questo motivo che non possiamo (e non dobbiamo) farne a meno; che ne restiamo attratti, incuriositi, stregati. In fondo, ce ne sono pochi, pochissimi, in giro, di sceneggiatori (e registi) capaci di metterci in contatto col nostro subconscio, coi nostri istinti, le nostre paure. Prendere lo spettatore e riuscire a farlo immergere – fin dalla prima scena – nello stato d’animo di un personaggio alle prese con le sue riflessioni, con il suo flusso di coscienza e, nel frattempo, renderlo complice anche delle percezioni – strane, stranissime – che quel medesimo personaggio sta ricevendo dal mondo vero, effettivo, non solo è un lavoro geniale e che in pochi si sognerebbero di fare, ma contemporaneamente è un lavoro pericoloso e immane: perché il rischio è di andare a cercare ambizioni difficili da raggiungere.
Ambizioni che però Kaufman riesce a soddisfare su tutta la linea, dimostrando di saper affiancare al un livello egregio di scrittura – la sua specialità – un livello altrettanto egregio di abilità registica. La maniera nella quale coordina luci e inquadrature nella (lunga) scena – a mio avviso migliore del film – della cena, dove i personaggi sono intenti a raccontare e a rivangare il loro passato, è uno dei momenti horror più terrificanti visti sullo schermo negli ultimi anni, oltre che a una lezione di regia cinematografica da implementare nelle scuole. Il modo in cui gioca con gli attori, con il loro trucco (invecchiandoli e ringiovanendoli, a seconda delle esigenze), suggestionando la protagonista e andando a togliere il terreno sotto i piedi a noi spettatori, è un qualcosa di unico, di straordinario, che mette i brividi sia per potenza delle immagini, sia perché ci ricorda le infinite risorse del cinema-tutto.
Tuttavia, se “Sto Pensando Di Finirla Qui” è un film immenso, inesauribile e affascinante, non è solamente per via della sua forma estetica e dei suoi virtuosismi. Il linguaggio che utilizza non è mai fine a sé stesso, infatti, ma assolutamente orientato a dare un senso a quel contenuto che ci verrà rivelato (chiaramente?) all'interno di un finale che se appare confuso, lo è solo in apparenza.
Ci parla di rimpianti, allora, di vite non vissute che potevano essere possibili, di somme da tirare e di scherzi della mente, Kaufman e il suo adattamento dell'omonimo romanzo di Iain Reid non poteva trovare un percorso migliore di questo. Una storia fuori da ogni schema, che agisce sulla testa dello spettatore innescando un loop col quale saremo costretti a convivere (felicemente) per chissà quanto tempo.
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