Un Altro Giro - La Recensione

Un Altro Giro Poster
Secondo Finn Skårderuds, uno psichiatra norvegese, l’uomo nascerebbe con un deficit alcolico dello 0,05%. Carenza responsabile di stress, tensione, mancanza di equilibrio e che potrebbe portare solamente benefici, nel caso in cui decidessimo di andare a colmarla (mantenendo quotidianamente e costantemente un tasso alcolemico dello 0,05% nel nostro corpo). 
Esperimento che decidono di mettere in pratica i professori di “Un Altro Giro”, ponendo sul tavolo le loro amarezze e le loro delusioni – professionali e sentimentali – con l’intenzione di provare a sistemarle, migliorando loro stessi e ritrovando entusiasmo. 

L’incipit della pellicola di Thomas Vinterberg è oggettivamente tra i più assurdi e tra i più intriganti in cui ci si potrebbe imbattere. E, proprio per questo motivo, potrebbe essere anche un bene che una storia del genere sia finita tra le mani di un regista spregiudicato e provocatore (e furbacchione) come lui. Questo perché quando si parla di alcol si tende spesso a voler (a dover?) sensibilizzare, a prendere l’argomento con le pinze, a demonizzarlo come fosse una droga alla quale sarebbe meglio non affezionarsi e stare lontani. Per Vinterberg però non è così, anzi. I suoi protagonisti, infatti, non si accontentano di migliorare, di incassare la vittoria acquisita con la puntata minima, il loro esperimento improvvisamente diventa una cosa seria: a metà tra scienza e opportunità di sentirsi nuovamente adolescenti. L’intuizione arriva dal fatto che “non siamo tutti uguali” e che quindi ognuno di noi potrebbe passare dal funzionare meglio alla sua versione ottimale, intercettando la quantità di alcol personale adeguata. Una fase due nella quale verranno registrati, come prevedibile, degli alti(ssimi) e dei bassi(ssimi), ma che non frenerà la curiosità dell’intero team a scoprire cosa c’è al livello successivo: accedendo a una fase tre dove l’unica regola è quella di non porsi alcun limite. 

Un Altro Giro Vinterberg
Che cos'è allora “Un Altro Giro”? 
Uno scherzo? Un film sull'alcol? Contro? 
Diciamo che la risposta corretta è quella che, trasversalmente, va a rispondere sì a tutte queste domande. Perché si, chiaramente l’intento di scherzare nei confronti di un’ipotesi assai curiosa esiste, come esiste anche – sebbene venga a galla di meno – l’intenzione di denunciare il grande consumo alcolico di una nazione – la Danimarca – che sicuramente non è l’unica a dover fare i conti con questo problema. Eppure, da parte di Vinterberg, c’è anche la voglia di esaltare uno strumento che, se utilizzato nella maniera giusta – e quindi senza abusi che rischiano di portare alla deriva (come ci viene mostrato) – può essere un grande iniettore di euforia, di slancio definitivo per festeggiare la vita, celebrarla: il che suona praticamente come un’esortazione all'uso, una vendita promozionale, il cui apice verrà toccato dalla scena nella quale uno dei professori consiglierà a uno dei sui alunni di farsi un goccetto poco prima dell’esame, per superare la paura dalla quale è sopraffatto (e il risultato lo potete immaginare). 

Torto, ragione? Difficile dirlo. 
Di sicuro – conoscendo un minimo il cinema del regista e le sue tendenze – negli scopi di Vinterberg c’è assolutamente la voglia di suscitare pruriti, indignazione, sconcerto nei confronti di una fetta degli spettatori: quella meno attenta, probabilmente. Ma non si può certamente evitare di fare caso a come le grane che trascinano i protagonisti a compiere una goliardata simile, non svaniscano – nei casi in cui accade – per merito dell’alcol, bensì attraverso un mea culpa consapevole, tutto fraterno e tutto adulto.
Un mea culpa, ad esser precisi, figlio dei cocci dei loro (eccessivi) bicchieri.

Trailer:
 

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