I Care A Lot - La Recensione

I Care A Lot Poster

Mette immediatamente i puntini sulle “i” la Marla di Rosamund Pike.
Io sono una leonessa!”, ci confessa in apertura, ed è una frase che dobbiamo prendere alla lettera e stamparci bene in testa, perché influenzerà gran parte delle scelte che verranno in seguito. Non mente, non esagera, il termine che utilizza per definirsi, anzi, è probabilmente quello più adatto e preciso per giustificare la sua indole da combattente e la faccia tosta con la quale – sfruttando il sistema giudiziario americano e un paio di agganci nelle case di cura – truffa dei poveri anziani – figli compresi – per appropriarsi dei loro beni e per fare la bella vita. 

Un essere spregevole, cinico, con il quale neppure gli occhi intrisi di lacrime di un povero figlio riuscirebbero a trattare per scendere a compromessi. Specializzato nel simulare emozioni, preparare copioni, insomma, nel sapersi muovere perfettamente all’interno di una giungla che la vede sicuramente predatrice. Giungla che però tende spesso a sorprendere, a ingannare e magari a sottovalutare anche le risorse di alcuni animali apparentemente deboli, ma fondamentalmente pericolosi o letali. Ed è quello che accade a Marla quando tenta di dare la svolta decisiva alla sua attività, accettando di spennare un’anziana signora molto ricca e molto sola, ma dal passato – e dai segreti – così misterioso da portarsi appresso praticamente un uragano di problemi. Questo uragano – senza stare a spoilerare troppo – a prima vista sembra voler essere per lei una sorta di contrappasso: la punizione equivalente per tutto il male provocato e inflitto al prossimo. Ed è liberatorio vederla sotto attacco, assistere alle intimidazioni e alle minacce che finalmente un altro animale della sua stessa specie si prende il lusso di potergli fare. Ma la realtà è che siamo solo all’inizio. E che la piega di “I Care A Lot” – per quanto sarebbe stata comunque soddisfacente – non sarà affatto quella che una parte del nostro cervello ha cominciato a immaginarsi. 

I Care A Lot Rosamund Pike

Perché è in questo preciso istante – e nei tanti successivi – che Marla dimostra a tutti noi spettatori che faceva sul serio. Che è davvero una leonessa e, in quanto tale, non basta un leone per costringerla ad arretrare, a tornare al suo posto. No, lei è affamata, è avida di vittorie, per cui non gli interessa se qualcuno sta cercando di metterla in soggezione, se gli viene consigliato di salvaguardare la sua incolumità e quella di chi gli sta intorno. Lei non si intimorisce, piuttosto vede e poi rilancia, ingaggiando una sfida all’ultimo sangue che disputa a viso aperto e che trasforma in un tesissimo testa a testa. Del resto - nel caso in cui non fosse ancora chiaro - quello diretto da J. Blakeson è un film in cui non ci sono buoni, in cui si fa il tifo per un cattivo solo perché, sostanzialmente, il male che ha commesso non l’ha commesso davanti ai nostri occhi: a dispetto del suo avversario che invece ci ha fatto incazzare e infuriare oltremodo. Lo afferriamo dalle parole di stima di un avvocato - scagnozzo del secondo predatore - che dice a Marla di apprezzare il suo stile, di procedere nell'applicarlo, ma di focalizzarsi su vittime diverse dall’ultima selezionata. 

In definitiva, non importa se è giusto o sbagliato, ma se sei preda o predatore; vincente o perdente. 
In fondo, “I Care A Lot” è questo: una rilettura, o meglio, un ammodernamento di quello che il sogno americano rappresenta ai nostri giorni. Con tanto di finale, tutt’altro che scontato, che inquadra alla perfezione sia l’assenza di morale e di giustizia, sia le conseguenze a cui – teoricamente – siamo destinati. E per dirla alla romana: “Pija sti spicci!”.

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