E non è un segreto che a John Krasinski non sia andata diversamente; che personalmente “A Quiet Place II” lui non voleva proprio sentirlo nominare: tenendo il punto per un buon lasso di tempo, salvo poi cedere alle pressioni – ai ripetitivi knock, knock – e scendere a compromessi (confidiamo in ottimi compromessi).
Un azzardo, insomma; se non fosse che stiamo parlando di una persona intelligente, di uno che sa dove andare a mettere le mani e, quindi, anche come evitare di mandare all’aria quanto di buono era stato fatto. Per cui non c’è da stupirsi se questa nuova creatura – tirata su per i capelli – pur avendo dei lineamenti approssimativi e meno incisivi, riesca lo stesso a presentarsi come prodotto onestissimo, di grande intrattenimento e – addirittura – coerente con quanto già seminato. Una prosecuzione diretta che esordisce proprio laddove era terminata la storia precedente, riattivata nella nostra memoria da una parentesi-prologo (ambientata nel Giorno 1) che rappresenterà comunque l’apice più alto dell’intera operazione. Come se non fosse passato neppure un istante, rieccoci in quel sotterraneo, allora: con la famiglia Abbott che ha appena scoperto il punto debole della minaccia aliena e ora deve trovare il modo di porre fine al suo incontrastato dominio. Una missione chiaramente disperata e incerta, ma che pare avere un'opportunità di riuscita tramite la raccolta di quell'eredità (pesantissima) lasciata libera nel primo capitolo. Cede quindi il timone ai più piccoli, Krasinski; a quei figli che aveva cercato di crescere il più velocemente possibile e preparare a ogni varia ed eventuale: lungimirante di un futuro prossimo che li avrebbe obbligati a prendere in mano la situazione, caricandoli di responsabilità. La famiglia si spacca in due, di conseguenza, e in un certo senso si allarga pure: con una metà in viaggio e un’altra arroccata (forzatamente) alla base, in attesa di auspicati ritorni o di notizie in grado di riaccendere un minimo le speranze.
Pari e patta, diciamo.
Aggiungendo che se si riuscisse a orbitare più spesso su questi livelli, probabilmente il fan-service prestato al cinema sarebbe qualcosa di più sopportabile e meno controproducente.
Ma ci rendiamo conto, nostro malgrado, che salvare capra e cavoli, per un’industria gigantesca, è più un lusso raramente percorribile che una sana e granitica intenzione.
Ma ci rendiamo conto, nostro malgrado, che salvare capra e cavoli, per un’industria gigantesca, è più un lusso raramente percorribile che una sana e granitica intenzione.
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