Open Arms: La Legge Del Mare (Mediterráneo) - La Recensione
Ottieni link
Facebook
X
Pinterest
Email
Altre app
C’è una parabola molto efficace che, ad un certo punto di “Open Arms: La Legge Del Mare”, viene utilizzata per mettere meglio a fuoco la problematica dei migranti. E’ quella de “I Ciechi E L’Elefante”, che narra – appunto – di un uomo che viaggia a bordo del suo elefante e che giunge in una terra abitata solo da persone cieche. Al che, per curiosità, un primo cieco si avvicina all’animale, gli tocca la proboscide, ed esclama: “E’ un serpente!”. Dopo di lui si fa avanti un altro cieco, gli tocca la zanna, e dice: “No, è un toro!”. E, infine, si avvicina un terzo cieco che gli accarezza l’orecchio, affermando: “Ma che, è un uccello!”. Il problema è che nessuno, però, aveva la capacità di toccare o di vedere completamente l’intero animale.
Un rischio che poteva commettere anche il regista Marcel Barrena, cavalcando unicamente il suo punto di vista, magari, e facendo leva su una retorica delle immagini con la quale sarebbe stato fin troppo facile andare a manipolare il pubblico seduto in sala. E se vogliamo questo è il primo grande scoglio che supera la sua pellicola: la quale racconta di come, nell’ottobre 2015, il bagnino catalano Òscar Camps sia arrivato a fondare poi la ONG Proactiva Open Arms, dedicandosi – insieme alla sua squadra – anima e corpo alla ricerca e al salvataggio dei migranti in mare. Una storia che trasformare in finzione, non perseguendo l’idea naturale del documentario, poteva quasi sembrare utopia, creare ostacoli ulteriori e superflui, nonché depotenziare la portata dei messaggi di cui si fa carico. Eppure ogni volta che la caduta pensi sia imminente o addirittura inevitabile, “Open Arms: La Legge Del Mare” – “Mediterráneo”, in originale – dimostra di avere dalla sua parte una lucidità unica e imprescindibile; di saper pesare scene e parole, senza mai concedersi una minima sbavatura che sia una e trovando persino il tempo di costruire la sottotrama di un rapporto padre-figlia da risolvere, utilissimo a istituire maggior respiro al contesto.
Un allestimento ragionato a regola d'arte, nel quale i nostri occhi, immersi, cominciano finalmente a schiudersi e a vederci più chiaro sia da lontano che da vicino: non lasciando più scuse riguardo a un sistema che non può certo esser liquidato a colpi di slogan. La situazione è quella che è, e sicuramente non sta ad un uomo – o ad una manciata – la responsabilità di risolverla o di trovare una soluzione. La questione è assolutamente più spinosa e complessa e in ogni step in cui va a comporsi, esistono tanti motivi per immolarsi e spendersi, quanti per far finta di niente e girare la testa dall’altro lato. E Barrena questi step vuole mostrarceli più o meno tutti: dai bagnini dell’isola di Lesbo che fanno di tutto per ostacolare le buone intenzioni di Òscar, a una minoranza di persone del luogo che gli lasciano intendere che il suo aiuto è tutt’altro che ben accetto. Perché è chiaro, in fondo, che trattasi di una questione politica: di un’Unione Europea incapace di coordinare la gestione di una crisi umanitaria che ha raggiunto, ormai, proporzioni inquietanti e critiche (mettendo in discussione, di conseguenza, l’unità suggerita dal nome che, probabilmente, è più di facciata che concreta). Così come è chiaro che non agire di fronte a determinate condizioni, significa comunque deliberatamente fare una scelta (sbagliata).
Per cui ci può stare se in certi passaggi “Open Arms: La Legge Del Mare” sente la necessità di tirar degli schiaffi e andarci giù duro: salvo costruirsi poi un piccolo salvagente d'emergenza (tra l'altro ottimo colpo di scena) che ha il sapore più di fiducia verso il futuro che di un cercato (e parziale) lieto fine.
Del resto quella di Barrena è una pellicola che prova a parlare a tutti la lingua di tutti; che tratta un tema drammatico, ma che trova anche lo spazio per strappare una risata e che, per questo, andrebbe vista a prescindere e non soltanto per la vista che intende restituire a noi popolo di ciechi.
Commenti
Posta un commento