Don't Look Up - La Recensione

Don't Look Up Poster


Ci fosse un’asticella, questa volta penderebbe verso la commedia demenziale. 
Perché quello di “Don’t Look Up” è un Adam McKay più scanzonato, su di giri (prima maniera?), che non racconta una storia vera oscillando tra il serio ed il faceto come faceva con “La Grande Scommessa” e con “Vice: L’Uomo Nell’Ombra”. Qui la situazione è diversa, metaforica, e vale la pena concedersi al cazzeggio per addolcire una satira – sacrosanta – su politica, società e potere contemporanei, che di amarezza purtroppo ne hanno lasciata e continuano a lasciarne fin troppa.

Si porta avanti, allora, McKay, ipotizzando uno scenario in cui, da un giorno all’altro, due astronomi americani intercettano una cometa diretta verso la Terra, grande abbastanza da provocare la nostra estinzione con l’impatto (che è certo). Una catastrofe sulla quale intervengono immediatamente, allertando i maggiori esperti e avvisando la Casa Bianca. Intorno a loro, però, la percezione è che nessuno voglia prendere la notizia con serietà: la Presidentessa americana – una Meryl Streep che fa il verso a Trump – e il suo staff li trattano con superficialità, menefreghismo, prendendo in carico la questione, ma solo per capire come possa tornare utile ai fini elettorali. Nemmeno i telegiornali gli sono d’aiuto, troppo manipolati da conflitti d’interesse che li costringono a mettere in evidenza il gossip, per anestetizzare i cervelli dei telespettatori seduti a casa. Insomma, loro indicano la luna – vabbè, la cometa – e tutti a guardare il dito. Già, tutti. Perché non fa sconti a nessuno “Don’t Look Up”, nemmeno a noi: che reagiamo alla notizia spaccandoci – come al solito – e creando fazioni di sopraguardisti e sottoguardisti disposti a darsi battaglia sui social e in strada, in nome di una vera-verità che ormai sembra essere messa in discussione persino quando è lì, davanti ai nostri occhi.

Don't Look Up DiCaprio

Perciò, finzione, sì.
Ma fino a un certo punto.
Basta rimuovere la cometa dall’equazione, infatti, e inserire al suo posto il cambiamento climatico, per rendersi conto di quanto possa essere labile, a volte, il confine che divide l’assurdo dalla realtà. Un processo matematico non proprio indispensabile, tuttavia, per spezzare l’atmosfera e corredare di una punta di afflizione le nostre risate. C’è di peggio, in fondo, dentro questa storia che è praticamente il manifesto dei nostri tempi. A cominciare dal senso di onnipotenza scriteriato e incorreggibile, ostentato da chi governa e sostenuto – e quindi rafforzato – da finanziatori miliardari e pseudo-filantropi, possessori di società Big Tech: la cui essenza, qui, è rappresentata da un Mark Rylence esilarante e gigantesco – e probabilmente in diritto di una nomination ai prossimi Oscar – che fonde in un unico personaggio le peculiarità di Steve Jobs, Elon Musk e di loro aspiranti surrogati.
In sostanza, è come se i bambini che “La Grande Scommessa” aveva tanato nelle mura di Wall Street, ora siano riusciti ad alzare la posta e a conquistare il mondo intero. Il volante è nelle loro mani e noi – che glie lo abbiamo permesso – siamo seduti sul sedile del passeggero a litigarci il Game Boy, mentre la macchina si avvicina al burrone che Google Maps segna come destinazione finale.

Tutto questo rende quasi superfluo l’andare a soffermarsi sul valore tecnico del film: che in quanto commedia poteva durare meno, e se l’avesse fatto ci avrebbe sicuramente guadagnato. Perché ciò che conta, in questi casi, è il valore intrinseco dell’opera e "Don't Look Up" ci mette tutti davanti a uno specchio, mostrandoci un presente e un – potenziale – futuro alla cui vista verrebbe voglia di urlare a squarciagola, proprio come capita al povero Leonardo DiCaprio, giunto allo stremo.
Che, per i più introversi, potrebbe convertirsi nel mandar tutti freddamente a quel paese come fa Jennifer Lawrence

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