Mettersi al timone di “Scream” dopo quattro capitoli che parevano già aver detto tutto e farlo anche a seguito della morte di suo papà Wes Craven, non era una missione impossibile, ma una missione suicida.
C’era chi li aspettava al varco, dunque.
Magari non proprio con la maschera di Ghostface e col coltello affilato in mano, ma con lo scopo di farli comunque a pezzettini.
Eppure, come accade spesso negli horror, quando l’esito scontato viene spazzato via da un colpo di scena, i due registi danno prova di avere più assi nella manica di quelli che ci aspettavamo. Su tutti una sceneggiatura lucidissima – scritta da Guy Busick e James Vanderbilt – capace di mischiare le carte e di ragionare alla perfezione su come è cambiata l’industria cinema in questi ultimi dieci anni. Se il quarto episodio, allora, ironizzava sui reboot e sui remake – che intorno al 2010 spopolavano – adesso è il turno di affrontare una nuova piaga: quella dei requiem requel. Un termine nuovo, particolare – almeno per quanto mi riguarda – e che, a quanto sembra, riguarda i film, o le saghe, che tornano con l’intento di raccontare una nuova storia, legata però ai fatti del passato. Un esempio? Gli ultimi tre capitoli di “Star Wars”. Un titolo scelto non a caso e citato quasi esplicitamente all’interno della trama, quando si comincia a parlare (male) e a mostrare alcune scene di “Stab 8” (ovvero Episodio 8): l’ultimo sequel della saga ispirata agli omicidi di Woodsboro, affidato alla regia di quello-di-Cena-Con-Delitto (aka Rian Johnson), accusato dai fan di aver tradito l’originalità del franchise e dei suoi personaggi (e ogni riferimento a “Gli Ultimi Jedi” non è puramente casuale).
E gli eventi che coinvolgono Samantha – la Cindy di questo “Scream”: che si rifiuta di aggiungere il numero 5 accanto al suo nome – sono assolutamente in linea con il profilo dei requiel.
C'è qualcuno, infatti, che vuole ripristinare frizzantezza nella cittadina e regalare a Hollywood nuove idee per il futuro, vista la scarsità che ultimamente ha dimostrato di avere. Progetto che prevede il ritorno di figure storiche e di figure inedite, subordinate. Volete dirmi che sono vittima di qualche fan psicopatico, quindi?, esclama più o meno Samantha, durante una reunion di sospettati, non appena intuito che il problema stavolta ha a che fare con la fan-base. Un meta-cinema – parecchio di moda, ormai – che però si incastra simmetricamente con i capitoli precedenti, aggiornando un discorso che va a toccare – e non poteva fare diversamente – pure gli horror moderni: considerati migliori perché bagnati da quell'autorialità non indispensabile negli anni ’90.
E Busick e Vanderbilt fanno addirittura di più: non limitandosi alle parole, ma stuzzicando lo spettatore attraverso il citazionismo (tecnico e non) e un utilizzo di cliché, nella maggior parte dei casi beffardo o ingannevole: vedi il gioco di montaggio e di suoni in cui si scimmiotta lo jumpscare senza mai assecondarlo.
C'è qualcuno, infatti, che vuole ripristinare frizzantezza nella cittadina e regalare a Hollywood nuove idee per il futuro, vista la scarsità che ultimamente ha dimostrato di avere. Progetto che prevede il ritorno di figure storiche e di figure inedite, subordinate. Volete dirmi che sono vittima di qualche fan psicopatico, quindi?, esclama più o meno Samantha, durante una reunion di sospettati, non appena intuito che il problema stavolta ha a che fare con la fan-base. Un meta-cinema – parecchio di moda, ormai – che però si incastra simmetricamente con i capitoli precedenti, aggiornando un discorso che va a toccare – e non poteva fare diversamente – pure gli horror moderni: considerati migliori perché bagnati da quell'autorialità non indispensabile negli anni ’90.
E Busick e Vanderbilt fanno addirittura di più: non limitandosi alle parole, ma stuzzicando lo spettatore attraverso il citazionismo (tecnico e non) e un utilizzo di cliché, nella maggior parte dei casi beffardo o ingannevole: vedi il gioco di montaggio e di suoni in cui si scimmiotta lo jumpscare senza mai assecondarlo.
Un esame pregevole, insomma.
O quasi.
Perché in certi passaggi – in certe morti – cruciali, si intravedono sbavature (volontarie?) che inevitabilmente mettono lo spettatore nella condizione fatidica di porsi delle domande: ma perché non fa questo, perché non vede quello? Bucce di banana che forzano un tantino gli avvenimenti, sfiorando il ridicolo e sospendendo la dose di credibilità. Sono un paio di occasioni – forse poco più – è vero, ma in una pellicola nella quale spicca la logica e l’ironia, ci si aspetterebbe che nulla venga lasciato al caso: in fondo bastava essere un pizzico più accurati, oppure scherzarci su.
Una cosa è assodata, tuttavia: Wes Craven approverebbe lo stesso.
Il che, forse, è più che sufficiente.
Trailer:
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