Finale A Sorpresa - La Recensione

Finale A Sorpresa Poster

L’arte, l’ego e l’essere umano.
Partono da questi tre elementi i registi (e sceneggiatori) Mariano Cohn e Gastón Duprat per mettere in scena la loro nuova commedia. Partono da un pretesto: il capriccio di un milionario – proprietario di un’azienda farmaceutica – prossimo al tramonto, ossessionato dal ricordo che il mondo avrà di lui una volta passato a miglior vita. Malessere che lo porta prima a pensare di investire sulla realizzazione di un ponte da battezzare a suo nome, e poi sulla produzione di un film, destinato a diventare un capolavoro.

Premesse sufficienti a farci immaginare le mirabolanti conseguenze.
Quelle di un set affidato a una regista completamente fuori dagli schemi e a due attori talmente diversi tra loro da entrare immediatamente in accesa competizione: uno infatti è spocchioso, radical chic e riservato (?), mentre l’altro è un bambino costantemente bisognoso di attenzioni, viziato e superficiale. Un mix letale che darà istantaneamente i frutti richiesti: con una convivenza che risulterà forzata, non appena avrà inizio la lettura del copione e una serie di situazioni paradossali che, probabilmente, oltre a far ridere di gusto, non si discostano poi così tanto da quella che è la realtà (vedi “Boris”). Penélope Cruz, Antonio Banderas e Oscar Martinez sciolgono totalmente le loro catene, allora, abbandonandosi alla follia dei personaggi e dando il via anche loro a una sorta di contest – vissuto in maniera meno agguerrita, ci auguriamo – di bravura, nel quale, a turno, riescono ad alzare sempre più l’asticella (loro e del film) e a stupire. Una guerra che, ad un certo punto, si fa addirittura psicologica, scorretta e senza esclusioni di colpi, tanto da mettere a repentaglio le sorti della pellicola in favore di un riscatto personale che, per ognuno, pare essere l’unica bandiera da esibire e sventolare.

Finale A Sorpresa Film

Una critica – iperbolica? – ad un mondo (dell’arte, degli artisti e moderno pure) nel quale l’apparenza è tutto e lo è persino quando si fa finta di volerla celare, scacciare. Cohn e Duprat si divertono a giocare con le loro pedine come fossero due bambini ai quali sono appena state regalate le action figure degli Avengers, e da parte nostra non c’è la minima voglia di provare a fermarli, disturbarli o correggerli. Questo perché “Finale A Sorpresa” è comunque un divertissement che conosce perfettamente il senso dell’equilibrio, amministrato da due registi che il cinema hanno dimostrato di saperlo fare e di saperlo fare benissimo: e in grado, quindi, di frazionare sia toni che ritmi, senza mai ritrovarsi a girare a vuoto. La struttura della loro storia, in fondo, è lo specchio delle loro capacità, del loro mestiere: con un crescendo narrativo che è congegnato al millimetro, farcito di frecciate, e che culmina in un finale per nulla conciliante (a sorpresa, appunto), dal sapore caustico e provocatorio.

La conseguenza naturale – eppure non scontata – di quanto visto e percepito dalle anime (e dalla loro etica) della pellicola. Con una conferenza stampa di chiusura, nella quale l’umanità viene sovrastata e sotterrata dal valore assoluto dell’opera, attraverso un atteggiamento tanto cinico e chirurgico quanto sostenibile e convincente. Costringendo anche noi a sporcarci le mani e a chiederci se forse, tutto sommato, non sia davvero giusto che sia andata così.

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