Armageddon Time: Il Tempo Dell'Apocalisse - La Recensione

Armageddon Time Poster

Le premesse c'erano, o meglio potevano esserci.
Solitamente, infatti, quando un regista decide di scrivere un film che ripercorre la propria infanzia - o, comunque, un tassello importante della sua vita - tende sempre a metterci quel pezzettino di cuore in più (a volte, pure troppo), di attenzione in più, di (auto)coinvolgimento, pure.
E "Armageddon Time: Il Tempo Dell'Apocalisse" per James Gray è esattamente questo, una specie di capitolo autobiografico: perché parla di ricordi fondamentali (cruciali?) di quando lui era adolescente; di quei ricordi che possono avere la forza di segnare e definire profondamente un cammino.

Tant'è che è lui il primo a non nascondersi, ad ammettere che Paul Graff, il bambino al centro della vicenda, è la sua trasposizione ideale: un quattordicenne col quale - e questo lo dico io - si fa fatica all'inizio ad entrare in empatia, tanto è viziato, disobbediente e bugiardo. Però nel primo anno di medie Paul conosce Johnny, un suo coetaneo che sta ripetendo l'anno perché indisciplinato e bravissimo a cacciarsi nei guai. Tra i due c'è subito feeling, interazione e coesione contro l'insegnante che, stando alle loro opinioni, non smette di prenderli di mira e di penalizzarli. E I due quindi accettano il ruolo, smettendo di provare a compiacere l'adulto e dandosi alla pazza gioia: finché non la combinano talmente grossa che i genitori di Paul – non quelli di Johnny che vive con la nonna malata - non decidono di rimuoverlo dalla scuola pubblica ed iscriverlo a quella privata. Prima che accada ciò, tuttavia, Paul comincia a fare caso a un dettaglio non di poco conto, più rilevante del suo stato sociale (che palesemente è superiore a quello dell'amico): scopre che il colore della pelle di Johnny – che è nero - lo rende diverso da lui. Che lo emargina, lo penalizza. Particolare che fino a quel momento - fino agli sguardi strani di chi li vede insieme, alle minacce di alcuni adulti e alle regole sulle assunzioni della Nasa - non aveva mai avuto un peso nelle sue scelte, nelle sue frequentazioni, e che all'improvviso lo porta ad essere confuso e a porsi il dubbio se sia meglio seguire le sue volontà, oppure adeguarsi alle regole (incomprensibili) che gli vengono imposte dalla società.

Armageddon Time James Gray

Ed in questo processo di crisi, a venirgli incontro e a tendergli una mano arriva in soccorso suo nonno. La memoria storica. L'unico in famiglia che sembra non aver dimenticato la fatica dell'essere nato ebreo e le peripezie affrontate per sopravvivere e guadagnarsi la libertà. E, allora, è grazie alle parole di un accorato e misuratissimo Anthony Hopkins che il piccolo Paul – che per definizione, pende dalle labbra del nonno – comincia a capire a grandi linee l'importanza di fare sempre la cosa giusta, di infischiarsene dei pregiudizi e di lottare per ciò in cui si crede. Lo fa arrivando a rischiare addirittura la sua di incolumità, in maniera incosciente: mosso esclusivamente dall’affetto, dall’istinto e da quel pizzico di follia tipica di chi è ancora acerbo. E non importa se ciò non basta a cambiare il destino degli eventi; se il suo piano per ristabilire l’equilibrio ha dell'infantile ed è pericolosissimo, perché come gli dirà il padre più avanti – senza mettergli le mani addosso, stavolta, né tantomeno prenderlo a cinghiate – la vita è ingiusta, a volte, ed è una verità con la quale bisogna imparare a convivere.

E Gray di quelle parole ha fatto tesoro.
Così come di quell’esperienza.
Trovandoci dentro lo stimolo per dedicarsi a quell’arte con cui aveva cominciato a flirtare e che lo ha condotto fin dove oggi è riuscito a esprimersi al meglio.
E pure se “Armageddon Time: Il Tempo Dell'Apocalisse” non rappresenta il suo apice, quel ritorno in grande stile che tutti stavamo aspettando, è comunque un passo avanti. 
Incoraggiante per ipotizzare una ripartenza.

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