Decision To Leave - La Recensione

Decision To Leave Park Chan-Wook

Ci sono echi hitchcockiani fortissimi racchiusi dentro “Decision To Leave”.
Simboli, riferimenti e soluzioni narrative che non possono non far pensare a un omaggio – non dichiarato, al momento – fatto da Park Chan-wook al cinema del (e al) maestro del brivido.
Un noir pronto a impastarsi e a fondersi con il melodramma, attraverso la storia di un detective che si innamora a prima vista di una donna che non solo è la moglie della vittima del caso da risolvere, ma pure la principale sospettata del possibile omicidio.

E da quello che somiglia tanto a un cliché del quale abbiamo già assaporato infinite declinazioni, Park Chan-wook cuce un intreccio meraviglioso, capace di essere allo stesso tempo moderno e malinconico, quanto romantico e beffardo. La giustizia che perde la testa per la (potenziale) criminalità, lottando coi suoi principi per rimanere arbitraria e contro i suoi sentimenti per frenare gli istinti. Se da una parte, infatti, il detective Hae-Jun potrebbe lasciar scorrere l’indagine e avallare la mancanza di prove che condannerebbero il suo colpo di fulmine, dall’altra esistono degli indizi e delle incongruenze che potrebbe valer la pena inseguire, a prescindere dai risvolti, forse, dolorosi. Ma quella tra lui e la femme fatale Seo-rae è una caccia al topo destinata a protrarsi oltre le indagini responsabili di averli fatti conoscere. È un’attrazione fatale, un bisogno comune che non troverà pace finché entrambi non si decideranno ad accettare la verità e a prendere coscienza della situazione. Che poi è quella che “Decision To Leave” ipotizza proprio nel fotogramma – probabilmente – più paradossale e divertente della sua ficcantissima ironia: nel quale vediamo, a un certo punto, Hae-Jun e Seo-rae viaggiare sui sedili posteriori di una macchina, uniti da ciò che, idealmente, andrebbe a caratterizzare il loro rapporto.

Decision To Leave Park Chan-Wook

Contrasti, quindi.
Ma pure insonnie, scheletri nell’armadio (o sulle pareti) e dilemmi.
Tutte fonti vitali da cui Park Chan-wook trova spunti e crea il modo e la maniera di non far perdere mai di vista i due protagonisti e l’attrazione che li tenta. Anche quando le loro strade sembrano destinate a separarsi definitivamente: con Hae-Jun che confessa a Seo-rae di avergli spezzato il cuore, tornando da Busan in periferia, a vivere con una moglie che ormai ha smesso di amare. Anche da questa rottura la pellicola trova il guizzo di scrittura – perfettamente coerente e non forzato – per continuare ad appassionare e a scuoterci: tirando su un terzo atto dove, i principi e gli istinti di cui sopra, vengono sollecitati a prendere decisioni e a fare i conti con le conseguenze (e con la posta sempre più alta) che, inevitabilmente, si abbatteranno sulle vite dei soggetti coinvolti.

Ed è cinema puro, questo. Cinema raffinato.
Ce ne rendiamo conto semplicemente da come scivolano via rapide le due ore abbondanti di durata. 
Al termine delle quali, un po’ attoniti e un po’ amareggiati, ci allontaniamo dalla sala carichi di quell’appagamento e di quel fervore, tipici di chi ha appena assistito ad un film di altri tempi. 
Merce rara, al giorno d’oggi.

Trailer:

Commenti