Benedetta - La Recensione

Benedetta Film

Fin dalla prima scena – quella in cui Paul Verhoeven (ci) presenta Benedetta, la protagonista del suo film – tutto è piuttosto chiaro. 
Piccolissima, infatti, praticamente una bambina, la vediamo rispondere alle minacce di un gruppo di uomini a cavallo che hanno appena fermato il suo carro - diretto verso il convento di Pescia - con l'intento di derubare i genitori. La madre e il padre restano inermi, ma lei avvisa i delinquenti di avere un contatto diretto con la Madonna, e che se non faranno un passo indietro, restituendo la refurtiva, andranno sicuramente incontro a una punizione. Al che uno di loro, miscredente, la schernisce, si mette a ridere, finché un uccello sbucato dal nulla non lo attacca, evacuandogli in testa. Monito che serve ai suoi compagni per afferrare il messaggio e assecondare la bambina, fuggendo in retromarcia. Siamo all’incirca nel 1600, epoca in cui chiesa e religione avevano un peso decisamente più influente, rispetto a quanto siamo abituati a vedere oggi, e millantare – o avere – un contatto diretto con Dio, quindi, poteva essere arma dalla portata immensa.

E Benedetta quest’arma ce l’aveva, o comunque, ne aveva già assimilato i concetti.
Perché, alla fine, il fascino e la curiosità di tutta questa storia risiede interamente in questo mistero (della fede): Benedetta ci fa, o ci è? 
Ciò che fa accadere – e che le accade – è sempre decifrabile a metà tra il misticismo e il caso. Tra religione e scienza. Tra soprannaturale e furbizia. Chi è Benedetta, quindi? La bambina che abbiamo visto entrare in comunità in piena età dell’innocenza può davvero essere diventata – o, peggio ancora, aver sviluppato così precocemente – la diabolica arte dell’inganno? Ed è tra le pieghe di queste domande - che non smettono mai di tornare davanti ai nostri occhi - che Verhoeven decide di esaltarsi, pescando il suo cinema e mettendosi a suo agio. Provoca ferocemente lo spettatore – meglio se credente – con un personaggio che definire controverso sarebbe un eufemismo: che tra possessioni, sogni trascendentali e stigmate, trova persino il tempo e il modo di sperimentare l’amore carnale. E non con un uomo, ma con un’altra suora. Bartolomea. Una beffa, sacralmente parlando, che va a rimischiare di colpo l’intero mazzo di carte, a mettere in discussione ogni indizio che stavamo accarezzando di valutare come genuino e tangibile, specie dopo che le due decidono di festeggiare la promozione di Benedetta a badessa, utilizzando un dildo originato da una statuetta in legno della Santa Vergine.

Benedetta Paul Verhoeven

Immagini che faranno discutere.
Indignare, forse.
Eppure è aria vitale per una narrazione – e per un regista – che intende stuzzicare, porre quesiti e destabilizzare. A cominciare dalle reazioni delle sorelle che, seppur devote a Dio e, in quanto tali, rimesse alla Sua volontà, cominciano a non accettare un’ascesa così repentina e a nutrire gelosia, collera, vendetta. Ad andare alla ricerca del marcio e a inventarlo, se necessario, chiedendo persino agli organi ecclesiastici superiori di forzare la mano, pur di fare luce sulla questione. E qui “Benedetta” compie il suo miracolo, perché crea un cortocircuito dove a far da padrone è il grottesco. Agisce secondo standard storici riconosciuti - la tortura, la violenza, il rogo - che però vengono mossi più dal bisogno di mantenere una determinata gerarchia e un determinato potere, piuttosto che dalla volontà di proteggere l’immagine e il significato di una figura del quale nessuno conosce realmente gli intenti. Cosa vuole Dio? Com'è che opera? Siamo sicuri di saperlo, oppure la nostra è solo arroganza?

E tra questi spacchi, tra segnali che contribuiscono a confondere, più che a chiarire (e che quando chiariscono, in realtà, fingono per confondere ancora di più) “Benedetta” – e Verhoeven – si comporta nella maniera più osservante possibile. Non se la sente di rispondere alla domanda se la sua protagonista sia un bluff, oppure un prodigio. Lascia a noi l’arduo compito. Con elementi di valutazione che non smettono, statene certi, di oscillare sia da un lato che dall’altro.
Come accade nelle migliori dottrine, del resto.

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