Barbie - La Recensione

Barbie Poster

Partiamo da un presupposto: io sul film di “Barbie” ero piuttosto scettico.
Talmente scettico che non lo sarei mai andato a vedere, probabilmente, se dietro il progetto non ci fossero stati i nomi di Noah Baumbach e Greta Gerwig.
Leggere di lui in sceneggiatura e di lei in sceneggiatura e in cabina di regia, mi è parso un buon motivo per dare a Barbie una possibilità: quella di palesarsi come un oggetto quantomeno misterioso e non così scontato come lo sarebbe stato se messo in mano a qualche impiegatuccio d’industria.
Nonostante ciò, comunque, le mie aspettative restavano molto basse e il mio scetticismo, anziché diminuire, trailer dopo trailer, continuava ad aumentare.

Lo so cosa state pensando, la starete sicuramente buttando su una questione di genere: visto che sono un maschio non sono in grado di capire la materia, o magari parto prevenuto, oppure eccetera, eccetera, eccetera.
Beh, vi sbagliate di grosso. Anzi, sapete chi l’ha buttata esattamente su questo piano? Proprio Greta Gerwig, che, appunto, per fare in modo che “Barbie” diventasse un blockbuster d’autore – ammesso che il termine abbia ancora un senso – ha costruito intorno alla storia una satira contro il patriarcato, volta a riprogrammare la figura della donna e, perché no, di ogni individuo. Un azzardo che, forse, servirà pure a dare maggior spessore al suo lavoro, ma che si porta dietro una fortissima dose di ambizioni e di contraddittorietà.
Si parte, allora, con un omaggio al cinema di Stanley Kubrick: il rifacimento del prologo di “2001: Odissea Nello Spazio”, con la bambola bionda al posto del monolito che, palesandosi, sconvolge completamente il carattere e l’ideologia femminile. Un miracolo commerciale che – con tono ironico, ovviamente – viene definito come sufficiente a ispirare ogni donna ad essere qualsiasi cosa voglia nella vita, ma che a conti fatti altri non è che l’ennesimo trucco (fregatura) del Capitalismo. E, infatti, quel mondo lì, quello in cui comanda il girl power e la donna può fare praticamente qualunque cosa/mestiere, sottomettendo regolarmente il maschio (frustrandolo, è più accurato), è Barbieland, un posto di fantasia. Quello dove ogni giorno è il giorno più bello di tutti – se sei una Barbie, se sei un Ken è l’esatto opposto – e non si fa altro che (auto)incensarsi, divertirsi, ballare, cantare e mostrare fisici perfetti. Un mondo di plastica, insomma (il nostro instagram?), che comincia a scricchiolare quando la Barbie di Margot Robbie – per la quale i vari Ken fanno la fila, snobbando le infinite varianti disponibili (why??!) – comincia ad avere pensieri legati alla morte, a perdere la capacità di camminare sulle punte e a manifestare la cellulite. Colpa del mondo reale che è appena entrato in contatto con quello immaginario. Colpa di qualche ragazzina che sta giocando con la sua bambola priva della giusta spensieratezza. Per cui a Barbie (e a Ken) non resta che imbarcarsi, andare alla ricerca della creatura e aiutarla a superare la crisi per evitare che la situazione si aggravi a dismisura. Inconsapevole, però, che dove è diretta a comandare sono gli uomini e alla donna spetta il ruolo di oggetto (sessuale).

Barbie Margot Robbie

La tocca piano, pianissimo Gerwig.
Eppure, ciò che dice è un'incontrovertibile verità. Peccato voglia farcela passare come satira pungente, come fosse una campanella che dovrebbe servire a svegliare qualcuno che sta dormendo. Viviamo in un mondo maschilista, il patriarcato ha radici profondissime nella nostra società e, sebbene negli ultimi anni sia stato fatto qualche passo in avanti, nessun uomo ha intenzione di indietreggiare a tal punto da perdere la sua posizione di potere. La storia è vecchia e chi non l’ha capita, probabilmente non la capirà neppure spiegata da “Barbie”. Men che meno seguendo le indicazioni e le strategie che Gerwig (e Baumbach?) cerca di fornire, dipingendo la categoria maschile come la più stupida sulla terra: dimenticando che se lo stupido è al potere, e pure da secoli, chi è sotto di lui, inevitabilmente, non è più intelligente. Ed è qui che nasce la contraddizione. Quella di un film che vorrebbe essere stra-femminista, ma che col linguaggio che sceglie di utilizzare finisce con l’essere praticamente l'esatto opposto. Perché il maschilismo, il patriarcato, non li rovesci sottovalutandoli o prendendoli in giro. La battaglia è assai più complessa e, forse, “Barbie” per avere speranze di vittoria, avrebbe dovuto spingere più su quel sesso che ad un certo punto, invece, viene dichiarato assente.
Un ragionamento, questo, che non avrebbe avuto nemmeno modo di esistere (e senso), se la pellicola fosse rimasta sui binari della demenzialità e della leggerezza, evitando di sobbarcarsi di quelle responsabilità e di quei contenuti che sono al di sopra del suo physique du role e che, oggettivamente, risultano presuntuosi e forzati.

Funziona meglio, quindi, nelle sue parentesi più trash, nelle citazioni, nelle battute e nel metacinematografico, questo “Barbie”. Che per provare ad essere più di un giocattolo, si sforza di essere umano, provando a sostituire la complessità della vita con la retorica (infantile) e, di conseguenza, trasformandosi in un prodotto stimolante, al massimo, per un pubblico di teenagers.

Trailer:

Commenti

  1. Commento equilibrato e che mi trova sostanzialmente d'accordo. E' un film che non sa mai che strada prendere, troppo "impegnato" per essere una commedia demenziale e troppo comico per essere un film "serio"... non decolla mai e si aspetta sempre che arrivi la scintilla per accendersi, che però non arriva. Però visivamente è bellissimo, e di questi tempi un film che riporta la gente in sala è comunque meritevole.

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