La carriera di Nicolas Cage è (stata) come un giro sulle montagne russe.
Alti(ssimi) e bassi(ssimi).
Ultimamente, però, sarà la saggezza dell’età (più) matura, sarà la fama o la fortuna, i copioni che gli arrivano tra le mani sembrano essere scritti appositamente per lui.
Lui che, nel frattempo, all’improvviso, ha fatto anche pace coi suoi meme.
Anzi, meglio: ci si è alleato proprio, facendone un punto di forza ulteriore e riconquistando un pubblico che, negli anni, lo aveva un po’ abbandonato e deriso.
Una parabola che non si discosta moltissimo da quella di “Dream Scenario”, dove interpreta Paul Matthews, un professore universitario, specializzato in biologia, che da un giorno all’altro si ritrova spettatore passivo dei sogni delle persone: che queste lo abbiano conosciuto, oppure no. La dinamica è sempre la stessa: il sogno è un incubo all'interno del quale chi (lo) sogna è in pericolo e nel quale lui si limita ad apparire, osservando senza fare nulla. Comincia la figlia maggiore, poi gli amici, i suoi alunni e, infine, gli sconosciuti. Insomma, da americano medio e Signor Nessuno, Paul si ritrova su giornali, siti e televisioni, cominciando a vedere in questo strano evento la possibilità di ottenere quel credito che gli mancava per pubblicare finalmente il suo libro sulle formiche (che non ha ancora scritto). Ignaro delle conseguenze che potrebbe portare una situazione su cui non ha controllo.
Perché, di fatto, lui è vittima di un mistero, di un paradosso. E mentre le aziende lo contattano e fantasticano su come renderlo un introito (tirando dentro pubblicità e pure Obama), e lui assaggia l’ebbrezza della notorietà che (in fondo, in fondo) desiderava (ma che non sa gestire), il suo alter ego notturno comincia a cambiare gli schemi e a diventare un po’ Casanova e un po’ assassino.
Ma parecchio assassino.
Ma parecchio assassino.
Comincia come una commedia grottesca, allora, “Dream Scenario”, salvo poi incupirsi a poco, a poco, per aggrapparsi ad un horror che gli calza a pennello e che lo aiuta ad amplificarne il messaggio e la portata. Dimostra di avere talento Kristoffer Borgli, un talento che viaggia di pari passo sia in scrittura che dietro la macchina da presa. Le possibilità di perdersi, in una storia come questa, che è così stratificata nei toni e ha l’ambizione di essere così chirurgica nelle direzioni, erano molteplici. Eppure, lui dimostra di possedere visione lucida e mano ferma, costruendo solidamente e intelligentemente una traiettoria eccentrica, tutt’altro che scontata o superficiale. Quell’horror, infatti, ad un certo punto, finisce per sfociare in una sorta di dramma (o dramedy, se preferite), con stoccate (condivisibili) alla cancel culture, alla socialità moderna e al mondo-digitale-tutto. Un faccia a faccia con la realtà che si miscela alla fantasia, dimenticando la ragione e trovando intensità e terreno fertile nel subconscio comune distruttivo e gratuito.
Quello con cui stiamo imparando ad interfacciarci da qualche anno a questa parte, mascherati dall’ipocrisia che ci contraddistingue e che ci impedisce di prendere una posizione anche quando non siamo d’accordo con “la massa”.
Sottomettendoci, insomma, esattamente come Paul, malconcio e sfiancato, decide di fare per disperazione, nel miraggio di salvare il salvabile.
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