Hit Man - La Recensione

Hit Man Linklater

Capita raramente di assistere a una proiezione dove una sala intera reagisce all’unisono agli stimoli inviati da una pellicola. È un’esperienza rara, entusiasmante e, chiaramente, significativa. 
Sarà per questo che quando sono arrivati i titoli di coda di “Hit Man” ho avuto la netta sensazione che Richard Linklater avesse realizzato un’opera assai più grande di quanto, a prima vista, potesse sembrare.
Ma andiamo per gradi. 

Al centro, infatti, c’è la storia (parzialmente vera) di Gary Johnson, un professore universitario di filosofia che si ritrova a lavorare part-time come finto sicario per la polizia di New Orleans. All’apparenza è una persona priva di carisma, ordinaria – guida una Hoda Civic! – e timida, eppure quando è chiamato a recitare il ruolo di Ron, ovvero quello del presunto assassino, improvvisamente la sua personalità si esalta, comincia a brillare e lui a risultare incredibilmente autorevole, al punto da scavalcare nelle gerarchie il collega che avrebbe dovuto sostituire. L’obiettivo della messa in scena, di fatto, è quello di strappare ogni volta una confessione esplicita, utile a cogliere in flagrante il “cliente” di turno, in maniera tale da poterlo incastrare e consegnare alle autorità. Il che si rivela un gioco da ragazzi per Gary, almeno fino a quando davanti ai suoi occhi non compare l’irresistibile Madison di Adria Arjona (e come dargli torto!). Lì, la professionalità e la mancanza di coinvolgimento emotivo che avevano contribuito al suo successo, si dissolvono di colpo. Gary si lascia prendere la mano (e per mano) da Ron e nel dissuadere la donna dal gesto che avrebbe voluto compiere, instaura con lei un legame passionale e clandestino, destinato a crescere a livelli paradossali.

Hit Man Linklater

Una commedia, allora.
Eppure una commedia tutt’altro che leggera e banale.
Perché la materia della filosofia, che inizialmente sembra un dettaglio collaterale, quasi di colore, diventa fondamentale per andare a comprendere sia il cambiamento di Gary – sempre più posseduto dall’alter ego di Ron – e sia il legame sentimentalmente infuocato, che nasce tra lui e Madison (e, di conseguenza, il comportamento dell’essere umano in generale). Esiste una spiegazione razionale all’assurdo che si dipana, ed è abbastanza plausibile e documentata da poter rendere l’evoluzione di “Hit Man” non solo verosimile, ma anche travolgente. Così Linklater – aiutato in sceneggiatura dal suo protagonista, un Glen Powell stratosferico – trova la strada migliore per scardinare qualsiasi cliché del genere presente sul suo cammino. Ogni potenziale buccia di banana la trasforma in un trampolino utile ad alzare l’asticella, la posta in palio, rendendo ancora più incredibile una storia che non smette mai di sorprendere e di mettere in piedi scene capaci di far ridere a crepapelle e di far saltare dalla poltrona lo spettatore.

Merito di una scrittura talmente ingegnosa, talmente brillante, che dovrebbe essere presa ad esempio.
Magari nelle scuole di cinema in Italia, dove un film come “Hit Man” non sarebbe nemmeno così impossibile da realizzare, se si trovasse il coraggio.
Per adesso, però, accontentiamoci – e si fa per dire – di Linklater, che in un’industria (americana) che, pure, fatica a trovare la bussola, sa ancora dove (e come) guardare per non omologarsi al sistema e continuare a fare la differenza.

Trailer:
NON DISPONIBILE

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