Killers Of The Flower Moon - La Recensione

Killers Of The Flower Moon Poster Ita

Sono pochi gli autori – i registi – che oggi possono permettersi di portare al cinema pellicole dalla durata di oltre tre ore. L’ultimo era stato James Cameron, ma è pur vero che il suo “Avatar: La Via Dell’Acqua” garantiva – sulla carta, almeno – una partecipazione di pubblico piuttosto ampia (mentre Ari Aster dubito avrà una seconda chance).
Questo per evidenziare il potere che Martin Scorsese ha ancora dalla sua. Un potere che, magari, non è più quello di una volta, che deve “abbassarsi” a collaborare con quelle piattaforme che lui non ama un granché, ma che, comunque, per lui sono disposte a fare un passo indietro e ad aprire le porte alla sala.
Ovvero al nemico. Il grande schermo.

Perché “Killers Of The Flower Moon” – dove il potere ritorna, peraltro – è un’opera che se costretta all’interno di una televisione – per quanto grande sia – rischia di perdere molto del suo valore, della sua potenza filmica. Sebbene, al contrario, permetta di gestire assai meglio, allo spettatore di turno, quei 206 minuti che Scorsese ha intenzione di dilatare fino all’ultimo secondo, senza sentire addosso la responsabilità di provare ad abbassarne la percezione, velocizzando il ritmo. Epperò, ciò manderebbe all’aria una sinfonia orchestrata al millimetro per costruire la tensione e spaziare tra i (tanti) generi, frammentando un flusso che solamente assorbito integralmente, e coi suoi tempi, è capace di travolgere e di suggestionare come il suo artefice l’ha immaginato. E, allora, comincia come fosse un trattato di Storia, il racconto: con l’introduzione di questa contea Osage che, negli anni ’20, si vede cadere addosso la (s)fortuna di trovare dei giacimenti di petrolio proprio al di sotto dei suoi terreni. Avvenimento che arricchisce la popolazione indiana del posto, ma che attira anche la curiosità di moltissimi bianchi, interessati all’articolo e alla possibilità di metterci mano. Uno scenario che apre le porte al western: con il William Hale di Robert De Niro che, millantando disinteresse per i pozzi, si introduce nella comunità col solo intento di volerla aiutare ad amministrare i suoi beni e farla crescere a livello industriale (e sociale). Compito per il quale decide di farsi aiutare dall’Ernest Burkhart di Leonardo DiCaprio, il nipote reduce dalla Grande Guerra, con qualche difficoltà a brillare per intelligenza e alla ricerca di stabilità. E’ lui l’ultima pedina di un puzzle destinato a macchiarsi di sangue – virando nel gangster-movie – e di mistero, con strane morti che vedono protagonisti esclusivamente i membri della tribù e che, a lungo andare, chiamano l’attenzione persino dell’FBI (sfociando nel poliziesco).

Killers Of The Flower Moon Scorsese

C’è tanto, c’è tutto, ma per fortuna non è mai troppo.
La superiorità di Scorsese, infatti, sta proprio nell’avere chiarissimo l’obiettivo e la maniera con cui andarlo a raggiungere. L’impressione che possa perdere le redini della sua epica, del suo viaggio, non è mai sul piatto, non è mai contemplata. Magari, ogni tanto, si lascia andare a qualche passaggio che potrebbe apparire ridondante, ma nell’economia di una storia così lunga, e così ricca, è facile pensare sia una scelta deliberata. Si vede, del resto, che la propensione è quella di lavorare minuziosamente sulla forma e sulla bellezza, che Scorsese allestisce (e cura) assai più di una narrazione che, invece, pare (saper) procedere organizzatissima e col pilota automatico. Un cambio di rotta che si ripete e che, evidentemente, negli ultimi anni, lo sta stimolando nella creatività e nella sperimentazione: instillandogli nuova linfa utile ad accendere benzina per i nuovi progetti.
Perché “Killers Of The Flowers Moon” è consapevole di essere non di facile fruizione, di contenere degli ostacoli, alla stregua di quanto è consapevole di avere l’arroganza di fregarsene e di non assecondare lo spettatore in nessuna delle sue (eventuali) aspettative. 

E’ una pellicola spietata, cinica e fredda come l’anima dell’America che denuncia e alla quale non intende fare sconti. Una pellicola che compie azzardi – anche attoriali, vedi DiCaprio – che la espongono a pericoli che qualsiasi altro regista avrebbe verosimilmente evitato, ma lo fa con una lucidità, un fascino e un controllo (e l’audacia di chi ama esporsi e provocare) che, probabilmente, la mettono dalla parte giusta.
Che si parli di Storia, o che si parli di cinema.

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