La Chimera - La Recensione

La Chimera Poster Film

Non so neanche io, di preciso, perché “La Chimera” sia stato il primo film che ho visto, diretto da Alice Rohrwacher.
Sapevo del suo talento, in molti mi avevano avvertito di seguire il suo cinema, eppure io avevo sempre trovato un motivo per rimandare.
Una questione di percezione, credo. Come un presagio.
Avevo intuito il suo stile, fiutata questa tendenza a raccontare storie poetiche, metafisiche, sospese e non ero così convinto che saremmo andati d’accordo.

Torto o ragione, comunque, era inevitabile che alla fine io e (i lavori di) Rohrwacher ci saremmo incontrati. E da una parte è stato un bene che ciò sia successo adesso, con quello che – a detta di tutti, o perlomeno di molti – è il suo prodotto migliore.
E, in effetti, a me “La Chimera” ha preso subito. Con questo strano tipo – Arthur – ammantato di mistero, taciturno e legato a un amore che non si capisce bene se possa essere recuperabile, oppure no (si capirà, man mano), che ritorna a piede libero in questo paesino della Tuscia dove ad attenderlo c’è la sua combriccola di tombaroli: già perché per guadagnarsi da vivere, o meglio, per sopravvivere alla povertà, Arthur sfrutta il suo dono che gli permette di “sentire” dove sono sotterrati reperti archeologici antichi, li trafuga e poi li rivende ad un certo Spartaco. Sembrano un gruppo fuori dal tempo, con tanto di menestrello (l’ho adorato) al seguito che, di tanto in tanto, appare per cantare le loro gesta e – perché no – i loro destini, i loro silenzi, i loro sentimenti. Vite appese a un filo, insomma, come quello rosso che vediamo nelle immagini sognanti (?) che aprono la storia e che ritornerà(nno) in seguito per andarla a chiudere.

La Chimera Rohrwacher

Così, mentre seguivo i tormenti di Arthur che, nel frattempo, incontra pure Italia e comincia a provare per lei dei sentimenti (corrisposti) che rischiano di distrarlo dal suo amore devotissimo verso Beniamina, comincio anche io un viaggio che mi porterà a trovare le risposte ai miei quesiti.
A guardare in faccia i miei presagi.
In fondo, è palese che il cinema di Rohrwacher sia oggettivamente di alto livello, che abbia una marcia in più, e che sono pochissimi gli autori – e ancor meno le autrici – che oggi, nel nostro cinema, possono permettersi di immaginare, o di creare, prodotti di questo tipo: caratterizzati, peraltro, da un ampio respiro europeo. C’è qualcosa, tuttavia, ne “La Chimera” che, pur convincendomi (parecchio) nel complesso, ha impedito che la pellicola mi conquistasse totalmente; che facesse di me un appassionato risoluto della sua autrice. Sospetto dipenda da questa aurea eccessivamente onirica e sfuggente, che contribuisce a irradiare il contesto di un'infinita delicatezza, di una realtà sempre al confine col surreale, ma è come se – è una mia sensazione, sia chiaro – mancasse di donare poi corpo tangibile al racconto, lasciando tutto in bilico ed enigmatico.

Un corpo che, evidentemente, avevo bisogno di avvertire, di sfiorare maggiormente.
Sarà un mio problema, di sicuro, e mi riservo di verificare meglio, recuperando i (suoi) tre titoli che mi mancano. Tuttavia - e spero che ad Alice faccia piacere, perché la cosa ha un po' a che fare con la spiritualità - le mie sensazioni verso di lei erano azzeccate. Ero convinto del suo talento e delle sue capacità, così come delle mie inclinazioni che rischiavano di non sposarsi a pieno con le sue.
Ma non è detto che, in futuro, non possa scoppiare una passione.

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