Perfect Days - La Recensione

Perfect Days Poster

Il protagonista di “Perfect Days” – che si chiama Hirayama – è uno di quelli a cui rischi di affezionarti subito. Un uomo di mezza età che ogni mattina si alza prestissimo, fa colazione, annaffia le sue piante e poi si veste per andare a lavoro, non prima però di essersi preso una lattina di caffè al distributore automatico che ha sotto casa. Dopodiché sale in macchina, sceglie la cassetta musicale da infilare nel suo stereo – sì, cassetta, non cd e non chiavetta usb – e raggiunge i bagni pubblici di Tokyo che la società per cui lavora gli ha incaricato di pulire. Terminato il turno, va a farsi la doccia e a rilassarsi in una struttura dedicata, poi a cena e, infine, a casa a leggere un libro finché non si addormenta.
E tutto questo ciclicamente, ogni giorno, come fosse la scaletta di un programma.

Eppure Hirayama è felice.
Silenziosissimo, di poche parole, lui non si lamenta mai. Non fa mai una smorfia di fastidio, non perde mai la pazienza, nemmeno quando il suo collega arriva in ritardo a dargli una mano e comincia a chiacchierare a più non posso, facendogli domande private a cui lui non intende rispondere. Sembra che ciò che fa per vivere, per lui, sia una vocazione. Attento, preciso, con strumenti addirittura creati ad hoc per andare più a fondo nella pulizia: neanche se su quei water i giapponesi dovessero andarci a mangiare. Un alieno, insomma. Che in pausa pranzo siede su una panchina a mangiare un tramezzino, tentando di intercettare lo scatto perfetto tra i rami degli alberi e la luce che li attraversa, utilizzando una macchinetta fotografica che va ancora a rullini. Un uomo del passato, allora. Con un passato totalmente oscuro che Wim Wenders non intende svelarci, se non con una nipote che spunterà all’improvviso a chiedere ospitalità dopo aver litigato con la madre ( la sorella di lui). Episodio che rappresenta quasi la rottura di uno schema e che va ad aggiungersi ad altre piccole rotture che, fatalmente, capiteranno e serviranno a noi spettatori per cogliere le sfumature di una vita che è serena sì, ma solamente in parte e apparentemente.

Perfect Days Film

Hirayama, infatti, non ha trovato il senso della vita, non rincorre il mito dell’asceta.
Quel suo atteggiamento, quell’essere abitudinario ma, soprattutto, la solitudine nella quale si è rinchiuso non sono una soluzione alle (sue) difficoltà (esistenziali). C’è stato qualcosa, un evento (famigliare?) che lo ha spinto ad allontanarsi e a limitare al massimo il contatto con il prossimo. Una condizione che nel tempo ha imparato a sostenere e che lo ha portato – aggrappandosi proprio alla routine e alle sue splendide musicassette d'epoca e alla lettura – ad apprezzare le piccole cose (il qui e ora, l'adesso) e ad addomesticare, magari, la presenza di un vuoto importante, come può essere quello di un amore assente. Una porta che nessuna persona, tuttavia, può decidere di sbarrare davvero, e che quando meno te lo aspetti potrebbe spalancarsi, costringendoti a rimettere tutto quanto in discussione: che sia per colpa di uno sguardo scambiato furtivamente in pausa pranzo, o per una partita a tris, giocata clandestinamente tra le pieghe di un muro.

Ed è ricontattando quei sensi che Hirayama sentirà il bisogno di rompere da sé, per la prima volta, la sua comfort-zone. Accompagnandoci in un finale poetico prima e struggente poi, in cui la bellezza di “Perfect Days” si fa sublime e la nostra affezione verso il suo protagonista – uno strepitoso Kōji Yakusho – muta in forte legame.
Per dirla come la direbbe un personaggio del film: "Un legame che da uno a dieci, è dieci!".

Trailer:

Commenti

  1. Il protagonista è un uomo dal passato nebuloso, che conosciamo solo a sprazzi, che però ha saputo (ri)trovare la serenità perduta. Serenità non significa felicità: Hirayama non è un uomo felice, ma uno che ha saputo fare pace con se stesso.

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