Uno studente pre-adolescente pare essere vittima di violenza fisica e verbale, da parte di un sadico professore. Oppure, no. Perché cambiando il punto di vista della storia, sembra che sia proprio quel professore ad essere vittima dello studente pre-adolescente: preso di mira in maniera subdola, con lo scopo di allontanarlo per sempre dall’istituto.
Eppure, quando il punto di vista della storia cambia ancora e ancora, anche questa teoria finisce col perdere di significato. Costringendo noi spettatori a porci una semplice e frettolosissima domanda: “Chi è il mostro?”.
La verità è che in ogni storia, persino in quella più banale, esistono degli elementi chiamati sfumature. Le sfumature – contrariamente alla loro consistenza e all’importanza che tendiamo a dargli – possono spostare di tantissimo, o di pochissimo la realtà dei fatti (immaginatele come un ago della bilancia), andando ad assumere un ruolo decisivo, nel momento in cui si è chiamati ad esprimere un giudizio in merito ad alcuni eventi o a dei comportamenti (umani). Ora, nel mondo di oggi – quello social, quello veloce – delle sfumature non frega più niente a nessuno. L’obiettivo è arrivare prima, dire la nostra. O, magari, schierarsi con l’opinione di X o di Y, in base a chi c’è più simpatico. E, probabilmente, tale piaga, potrebbe rappresentare uno dei motivi – uno, non l’unico – che hanno ispirato lo sceneggiatore Yuji Sakamoto e spinto il regista giapponese Hirokazu Kore-Eda a realizzare un film gigantesco come “Monster”. Gigantesco perché al suo interno c’è tanto, addirittura il rischio è che ci sia pure troppo, sebbene poi la resa delle delicatissime tematiche che vengono toccate, sia gestita in modo così preciso e magistrale da poter diventare materia di studio all’interno delle scuole di cinema.
Partendo dall’immagine di un palazzo in fiamme (che diventerà punto di riferimento per noi e metafora per la storia), Kore-Eda, allora, cuce un percorso in cui analizza la società del suo paese – sebbene non sia difficile immedesimarsi, pur vivendo altrove – e pone l’accento su determinate problematiche e ipocrisie che la affliggono, che la incendiano. Lo fa servendosi di un protagonista pre-adolescente, appena entrato nella fase della sua vita dove la spensieratezza comincia a svanire e a lasciare il posto alle domande, ai quesiti: come la paura di non essere conforme alle regole e, quindi, di non essere umano. Lo fa mettendo dall’altro lato un adulto – il professore – a cui è affidato il compito di educare e di insegnare, pur non potendo farlo come libera umanità vorrebbe. Costretto a investigare per venire a capo dei strani episodi che lo vedono coinvolto e che, non appena vedranno entrare in gioco il destino di un secondo bambino, lo trasformeranno in vittima sacrificale, necessaria a salvaguardare la reputazione della scuola che lo ha assunto.
Perché “Monster” – come avrete capito – è una storia complicata. Una di quelle che sembra una cosa, poi ne sembra un’altra e poi ne è un’altra ancora. Che si fa carico di argomenti come il bullismo, l’integrazione, le fake-news, cercando di metterne in risalto il peso ed il male che potrebbero provocare, se si procede a far finta di niente e a minimizzarne gli esiti, fingendosi distratti.
Un thriller, insomma, - serratissimo, peraltro - ma più di tutto una storia d’amore.
Una storia d’amore innocente, sincera e poetica, oscurata e avvelenata purtroppo dal pregiudizio e dall’ignoranza degli adulti e della società che hanno contribuito a mettere in piedi. Quella di un mondo che preferisce opprimere, mettere ai margini e al quale servirebbe un nuovo diluvio universale per purificarsi dai suoi peccati e rinascere.
Magari, sotto l’arcobaleno di un cielo splendente, dove bambini come Minato possono permettersi di correre felici e leggeri, in compagnia di chiunque vogliano.
Magari, sotto l’arcobaleno di un cielo splendente, dove bambini come Minato possono permettersi di correre felici e leggeri, in compagnia di chiunque vogliano.
Immuni agli attacchi dei mostri che abbiamo creato.
Trailer:
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