Un Altro Ferragosto - La Recensione

Un Altro Ferragosto Poster

Quasi trent'anni.
È il tempo che è passato tra l'uscita in sala di "Ferie D'Agosto" e il suo sequel.
Un tempo enorme, che se ci mettessimo a leggerlo in termini politici e sociali - e sarebbe giusto farlo - equivarrebbe praticamente ad un'altra era. Ad una rivoluzione.
Il mondo è cambiato, le nostre vite non somigliano neppure lontanamente a quelle di una volta e, di conseguenza, anche le ideologie non sono riuscite a restare immuni a tale sballottamento.

Per cui aveva senso provare a immaginare come erano sopravvissute a tutto questo le due famiglie più agli antipodi del nostro paese: i Molino e i Mazzalupi. Aveva senso immaginarle di nuovo a Ventotene, di nuovo durante il periodo di ferragosto, di nuovo incapaci di comunicare tra loro e quindi costretti a ricorrere allo scontro come unica forma di interazione e arma di difesa. Eppure per Paolo Virzì ciò non era sufficiente. Messa così, infatti, quella di "Un Altro Ferragosto" sarebbe stata la classica operazione nostalgia pensata a tavolino per racimolare soldi facili al box office: troppo poco per un film che porta con sé determinati valori, che negli anni ha saputo ritagliarsi un ruolo (affettivo) molto importante all'interno della nostra commedia. Ma soprattutto troppo poco per un film che metteva a disposizione molte più riflessioni, sfaccettature e opportunità. Quelle che Virzi - aiutato in sceneggiatura dal fratello Carlo e, ovviamente, dal fedelissimo Francesco Bruni - è riuscito a cogliere con grandissima intelligenza e a mettere al servizio di una storia che - secondo chi scrive - in termini di manifesto su chi siamo diventati sa essere accurata, schietta e amara, tanto quanto è divertente, superando di gran lunga i livelli raggiunti da quella che l'avevano preceduta.

Un Altro Ferragosto Film

Sarà che racconta il presente, forse. Sarà che lo fa senza mezzi termini e con l'aria di chi si è stufato di mantenere la calma e ha tutta l'intenzione di voler perdere la pazienza. Però, "Un Altro Ferragosto" dà l'idea di essere un film catartico. Uno di quelli che quando lo vedi, alla fine, ti viene istintivo fare un bel respiro profondo e dire: "Meno male, finalmente qualcuno che dice le cose come stanno!". Perché lo scontro Molino vs Mazzalupi non è un revival. Magari, lo fosse. In quel caso saremmo decisamente meno inguaiati di come siamo adesso. Virzì ci mette di fronte a una realtà, a un ritratto in cui la nostra incomunicabilità è peggiorata: non riguarda più solo la (differenza) politica. Ora è difficile capirsi anche tra di noi-squadra, anche tra genitori e figli: e questo vale sia per chi sta a destra, sia per chi sta a sinistra, oppure al centro (o da nessuna parte). Non è un segreto, infatti, che questo tempo che è passato, questo mondo che è cambiato (e chi se ne frega se è in meglio o in peggio) ha contribuito a imbruttirci ulteriormente, a farci peggiorare. E peggiorando noi è peggiorata la nostra aspettativa di felicità, di benessere. Lo dice chiaro e tondo il personaggio più sintonizzato e meno ipocrita della pellicola, quello interpretato da Emanuela Fanelli: "La vita è una merda!".
E probabilmente - o in buona parte, almeno - la colpa è nostra.

La politica non c'entra, o meglio, c'entra eccome, ma abbiamo capito che è una battaglia persa.
Una battaglia che il personaggio di Silvio Orlando tenta ancora di combattere, nonostante le sue condizioni, ma che risiede esclusivamente nella sua testa, nei suoi ricordi. E che se avesse avuto la lucidità di mollare in passato, probabilmente, si sarebbe risparmiato (e avrebbe risparmiato) gran parte del suo dolore e della sua infelicità. Infelicità che qualcuno si chiede se faccia parte del destino, addirittura, messa in contrapposizione con una morte che in "Un Altro Ferragosto" è tema presentissimo sin dall'inizio. È la morte di chi non c'è più per cause di forza maggiore, di chi si è stancato di esserci ed è atterrato dalla nostalgia, di chi fatica a restare e di una Storia che fa sempre più fatica a resistere nella memoria.
Per questo, dice Virzi, per provare a salvarci l'unica possibilità che abbiamo è quella di imparare (di tornare?) ad amare, a volerci bene. Perdonando, se è necessario.

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