Kind Of Kindness - La Recensione

Kind Of Kindness Poster

C'era un momento, tanto tempo fa, nei film di Yorgos Lanthimos, che per quanto mi riguarda si poteva definire momento cruciale: era quando nella storia accadeva un evento importante, senza alcuna motivazione logica. Un personaggio - non per forza il protagonista - commetteva qualcosa che - ripeto, per quanto mi riguarda - non aveva né capo e né coda, ma serviva solamente a spostare la trama sui binari che il suo Dio - Lanthimos, appunto - per puro piacere, o sadismo, o qualsiasi altra cosa, aveva deciso. Per colpa di questi "momenti cruciali" io con Lanthimos non sono mai andato d'accordo. E questo finché lui ha giocato sporco e (per comprarmi?) non ha cominciato a collaborare con Emma Stone. Da lì, per me, è partito una specie di conflitto di interessi. Perché da "La Favorita" in poi - guarda caso -  il suo cinema ho iniziato ad apprezzarlo, e molto. E con "Povere Creature", di recente, l'intesa si era addirittura alzata ulteriormente.
Merito della Stone? Non proprio. Non solo. Perché quei film vedono l'entrata in scena anche di un'altra figura fondamentale, un certo Tony McNamara. Sceneggiatore. Che, di fatto, ha tolto a Lanthimos l'onere di scrivere, eliminando completamente quei momenti cruciali di cui sopra.
Momenti cruciali che, invece, ritornano - un po' a sorpresa, devo dirlo - in questo nuovo "Kind Of Kindness" dove - indovinate? - Lanthimos torna a firmare la sceneggiatura (insieme a Efthymis Filippou) con McNamara fuori dai giochi.

E si vede.
Si vede che qualcosa non torna, o meglio, si percepisce che i vecchi vizi fanno a gomitate per tornare a galla. Lotta che Lanthimos riesce a tenere a bada per un'ora, un'ora e dieci, con il primo dei tre mediometraggi - perché questo non è un film intero, ma è più simile a tre puntate di una serie tv antologica - che poi è sia il migliore, sia l'unico per cui vale la pena stare a guardare: e che mette in mostra le sue grandissime capacità di raccontare personaggi strani alle prese con una vita che li trascina, di conseguenza, in dinamiche altrettanto assurde. E poteva tranquillamente accontentarsi così, per quanto mi riguarda, e, magari, allungare un pizzico il brodo realizzando un lungometraggio di 90 minuti. Perché il materiale per ampliare questo amore tossico tra Jesse Plemons e il suo capo Willem Dafoe, che gli da ordini da eseguire - ordini cattivissimi e pure orribili - in cambio di una vita organizzata e soddisfacente, c'era e valeva la pena esplorarlo ancora. Più di quanto valga la pena perdere altre due ore appresso a due storie che strizzano l'occhio alla fantascienza e che costringono noi spettatori a sottostare ai piaceri perversi di un regista che, stavolta definitivamente, forse, conferma che deve limitarsi a stare dietro la macchina da presa - dove è un portento - lasciando stare quella da scrivere (qui, il momento cruciale arriva con la cena particolare che Plemons chiede a Stone). 

Kind Of Kindness Film

Tant'è che nonostante ciò - nonostante le quasi tre ore, sicuramente evitabili e nonostante due capitoli su tre ai limiti dell'accettabile - "Kind of Kindness" continua a lasciarsi vedere, ad annoiare meno del previsto, a prescindere da una soglia dell'attenzione che via via tende ad abbassarsi, perché infastidita e provocata sardonicamente da un'ironia di cattivo gusto: un'ironia che raramente c'entra il bersaglio, e che ricorda quelle battute alle quali ride solamente chi le fa. E ciò accade anche quando viene accompagnata dal grottesco, dall'estremizzazione, che solitamente - almeno dal sottoscritto - vengono sempre accolti con piacere, al cinema, tranne in quei casi in cui sono gettati nella mischia a caso, tanto per aumentare gli ingredienti presenti nel piatto. Insomma, ci parla di gentilezza tossica, Lanthimos, è questo il filo conduttore dei tre episodi incollati tra loro e ai quali partecipa un cast eccellente, pronto ogni volta a cambiare ruolo, carattere e vesti. Una gentilezza che anziché fare del bene - a chi la fa e a chi la riceve - provoca negatività, dolore, morte. E che - a proposito di paradossi - sembra fare il paio con un film che è generoso, appunto (e lo è sotto tanti aspetti tecnici), in apparenza, ma che si rivela a lungo andare appagante e soddisfacente più per il suo autore che per noi pubblico che, forse, un pochino, finiamo addirittura per subirlo.

Diventiamo la quarta storia di una pellicola che così facendo si trasforma quasi in meta-cinematografica, figlia di un regista che, personalmente, tende a mostrare una sensibilità (in scrittura) molto particolare e ostica che, è probabile, vada a stridere con le mie corde (ma non solo le mie, mi sa). Appunti per un futuro in cui, mi auguro, Lanthimos possa essere più gentile e riconoscente, quantomeno con il Signor McNamara, visto che, a quanto pare, è stato lui il grande artefice del successo internazionale raccolto dal regista greco.
Così come è stato artefice anche dell'armistizio che mi ha coinvolto e che io attribuivo a un fattore sentimentale, mentre, in realtà, è sempre stato di natura intellettuale.

Trailer:

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