La memoria tende a processare tutto in maniera molto semplice, per cui quando leggi (e vedi il trailer di) "The Bikeriders" la prima cosa che ti viene in mente - e ci sta - è la serie televisiva "Sons Of Anarchy". Associazione giusta, per carità, anche perché il mondo è quello, e il culto pure, solo che il film di Jeff Nichols comincia a raccontarlo dagli albori, da quando ancora la criminalità ed il torbido non l'avevano inquinato e corrotto irrimediabilmente.
Lo fa servendosi di uno sguardo neutro (o quasi), quello di una Jody Comer meravigliosa, entrata a far parte della banda dopo aver ceduto al particolare (eppur romantico, a suo modo) corteggiamento di Benny, l'altro protagonista interpretato dall'ex-Elvis-Austin Butler: un uomo taciturno, freddo e misterioso (non piange mai, dice lei) che non intende togliersi di dosso la sua giacca con lo stemma, nemmeno quando sta per rischiare il linciaggio (e la vita). Per lui è una religione quella dei Vandals, uno stile di vita, un senso di appartenenza. Guidare la moto è l'unica cosa che conta, o la prima, perlomeno, poi si può cominciare a discutere su come continuare a ordinare il podio: se inserendo al secondo posto la relazione amorosa con Kathy (il personaggio di Comer), oppure l'amicizia che lo lega fraternamente al grande capo Johnny (uno strepitoso Tom Hardy). Un dubbio, questo, che resterà tale a lungo e che diventerà motivo di gelosia e di contrasti nel momento in cui l'equilibrio e i valori dei Vandals cominceranno a sfumare a seguito dell'entrata in scena di nuovi membri e di nuove filiali, che porteranno Johnny a forzare la mano per avere Benny al suo fianco, designandolo come erede al trono. Prospettiva che terrorizza non poco Kathy, la quale proverà a fare pressioni per allontanarlo e per convincerlo a trasferirsi con lei altrove.
Ma nonostante dinamiche che potrebbero permetterlo, Nichols non crea mai uno scenario alla-Sons-Of-Anarchy: e quindi col personaggio di Hardy che prova, magari, a mettere fuori gioco quello di Comer per avere dalla sua l'intera attenzione del suo figlioccio. Perché il Benny di Butler non è influenzabile, è una personalità libera, ribelle, non ascolta niente e nessuno, se non quello che gira per la sua testa. E la sua testa, sicuramente, non prevede né l'accettazione di uno scettro, né tantomeno l'abbandono di un affetto. Peccato non abbia fatto i conti, però, con la Storia che bussa alle porte e che, quando lo fa, lo fa talmente forte che ad un certo punto finisce per sfondarle, per rivoluzionarle. La pellicola, infatti, copre un periodo lungo circa otto anni (siamo negli anni '60) e di riflesso non può non mettere in scena anche i cambiamenti generati da eventi cruciali come la Guerra del Vietnam, per esempio, che va a scatenare l'inferno all'interno di una società che psicologicamente tende a farsi più esaltata, rabbiosa e incontrollata. Alterazione da cui non saranno immuni neppure i Vandals che, grazie (e per colpa) alla grandezza raggiunta, lentamente vedranno il loro club cambiare di connotati, filosofia e, forse, definitivamente di quel senso (nobile?) avuto in partenza.
Quel senso perduto da cui "Sons Of Anarchy" probabilmente partiva e che adesso potremmo quasi immaginare come spin-off e conseguenza non ufficiale di quanto accade nel film di Nichols: il quale si rifà, invece, al libro fotografico scritto da Danny Lion, che nella storia vediamo interpretato da Mike Faist (la banda originale erano gli Outlaws MC). Quel senso che per Benny era fondamentale e che quando viene a mancare lo spinge a staccare la spina (a suo modo, ovviamente) e a riordinare le idee. E quel senso, ancora, che valeva la pena rimarcare con aria così malinconica - e spesso utilizzando uno stile molto simile al documentario - perché appartenuto a un passato e a una comunità romanticamente distaccata dal mondo, e nata per opporsi alle sue regole. Una minoranza, insomma, che avremmo preferito non vedere vittima di una madre tanto scellerata, quanto incapace di avere pietà per i suoi figli.
Trailer:
Un film che mi ha colpito molto: malinconico, nostalgico, specchio di un'epoca. L'epopea dei bikers per raccontare un bel pezzo di storia americana: una cosa del genere, stilisticamente parlando, aveva provato a farla PT Anderson con lo splendido "Boogie Nights", il primo titolo che mi è venuto in mente. Peccato per il poco spazio concesso al solito, grandissimo Michael Shannon.
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