C'è Cate Blanchett cacciatrice di taglie dai capelli rossi e dalla giacchetta di pelle marrone, che quando le parli, nemmeno ti risponde, prende la pistola e ti spara direttamente addosso. C'è Jack Black che ormai ha deciso di non farsi più vedere al cinema - ma perché, Jack? - e dà la voce a un robot che, come da copione, rappresenta la linea comica della pellicola. E, infine, c'è Ell Roth, messo dietro la macchina da presa per l'adattamento di questo videogioco, il cui nome finisce per mescolare benissimo le carte in tavola, non lasciando intendere allo spettatore che genere di prodotto aspettarsi.
E si, ok, poi ci stanno pure Kevin Hart e Jamie Lee Curtis, ma sappiamo benissimo che sono parte di un contorno utile ad arricchire, non a catalizzare.
O perlomeno, questa è stata la mia lettura (velocissima), quando ho cominciato a prendere in considerazione l'idea di dare una possibilità a "Borderlands". Premetto di non conoscere e di non sapere nulla delle sue origini, di non averlo mai giocato e di non essermi preoccupato nemmeno di andare a documentarmi per capire meglio di cosa si trattasse. Tendenzialmente non l'ho mai ritenuto un passaggio importante quando c'è in ballo un cambiamento di contesto, di modalità di fruizione. Se possibile, anzi, credo sia sempre meglio non instaurare alcun legame con la fedeltà dell'opera, col purismo, e prepararsi - o essere inclini - a eventuali tradimenti utili a migliorare l'esperienza. E, secondo me, dalla sua questo titolo aveva ottime possibilità di imporsi al cinema. Perché già al "pronti via", si capisce immediatamente - o meglio, Roth, ce lo fa capire immediatamente - che le sue fonti d'ispirazione sono "Star Wars" e "Guardiani Della Galassia". E quindi viaggi nello spazio, pianeti da esplorare, cattivi che indossano caschi da stormtrooper e da mandaloriani, arrivando fino a ologrammi registrati che indicano la via e ad un team scapestrato, messo in piedi da varie forzature che a lungo andare legherà abbastanza da somigliare a una famiglia (disfunzionale).
Giusto per ricapitolare la fuffa in soldoni, proprio.
E da li non si va troppo oltre, nel senso che da uno come Roth è lecito aspettarsi quella sferzata, quello strappo un po' folle e un po' fuori dagli schemi che caratterizza spesso il suo cinema (horror), la sua personalità. Ma qui invece lo avvertiamo molto più addomesticato, pacato, aiutato sicuramente da personaggi coi quali può permettersi di portare in scena un linguaggio sporco, botte da orbi, ma nulla che qualcun altro, al posto suo, non sarebbe riuscito a fare allo stesso modo. E, probabilmente, la consacrazione di un titolo cosi tanto derivativo come "Borderlands" stava tutta nel saperlo condire con qualche spezia speciale, e la pazzia del suo regista (e co-sceneggiatore con Joe Crombie), per esempio, poteva essere una chiave. Così come poteva esserlo una caratterizzazione migliore del villain (praticamente invisibile), o di qualche altro componente del gruppo. Illusioni di voce grossa, di bagliori e ambizioni che si attendono neanche fossero il messia, nella speranza di alzare di un minimo il livello, la verve, e di marcare il territorio. Obiettivi che a quanto pare interessano solo a noi spettatori, però, e che la pellicola non ha intenzione né di rincorrere, né di assaporare.
Tant'è che poi si schianta alla fine, quando per incontrare il gusto (e le pretese, le attese?) dei videogiocatori, costruisce un finale da Playstation che smorza mordente e pathos, ridimensionando l'operazione e portandola non ad una potenziale saga da sviluppare, bensì all'ennesimo prodotto realizzato per i fan, a cui sta bene esaurirsi con la stessa velocità con cui si comincia e si finisce una partitella alla consolle.
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