Quando metti due divi dentro lo stesso film, il più, teoricamente, dovrebbe essere fatto.
Se poi questi due divi rappresentano anche gli ultimi della loro categoria, perché nessuno, al momento, si è rivelato in grado di poterli sostituire, allora, il colpo è paragonabile a un jackpot.
Eppure, guardando "Wolfs", si percepisce una sensazione diametralmente opposta, come se qualcosa fosse andato storto, come se le regole di Hollywood, improvvisamente, avessero smesso di funzionare.
Niente sala cinematografica, solo streaming per la coppia George Clooney e Brad Pitt.
Strano, stranissimo e pure un peccato, a dirla tutta, perché per un duetto cosi, il prezzo del biglietto si paga sempre volentieri. Specialmente se in questo film li vediamo interpretare sostanzialmente lo stesso personaggio - quel Wolf divenuto famoso in "Pulp Fiction" che per lavoro viene ingaggiato per sistemare situazioni altamente compromettenti - e quindi andare perennemente in scontro, ingaggiando spesso il duello testosteronico del "vediamo chi ce l'ha più lungo". Un canovaccio pronto all'uso, infallibile, rodato, se non fosse per una pecca che in certi casi non ti puoi proprio permettere di avere: la scrittura. E non quella relativa all'impalcatura della storia, la cosiddetta trama. Quella funziona piuttosto bene, anzi, perché ha ritmo, ha un intreccio discreto, degli accettabili colpi di scena. Ma quando si hanno a disposizione due attori come Clooney e come Pitt e si intende andare a giocare con l'immaginario che rappresentano, con il loro essere star, amici, cazzoni, toccando quindi l'area del meta- cinematografico, è fondamentale saper mettere in piedi dei duetti comici che abbiano all'interno battute frizzanti, sfacciate, irresistibili. E Jon Watts - che oltre a dirigere, scrive la sceneggiatura - non si può dire che non ci abbia provato, che non abbia spinto l'acceleratore sul buddy-movie, sull'unicità dei suoi attori, sugli acciacchi di una vecchiaia che incombe, ma non avendo a disposizione la brillantezza, il senso dell'umorismo e l'istinto di uno come Shane Black, per esempio, il massimo che riesce a portare a casa sono mezzi sorrisi, raramente capaci di farsi totali.
Che per carità, ce li prendiamo, eh. Sono tempi cupi e non si butta via niente.
Però, è impossibile, di fronte a "Wolfs", di fronte agli scricchiolii che produce, non lanciarsi in una sorta di riflessione, magari pindarica, magari triste, se volete, che vede un cinema orientato a spostarsi sempre più verso una standardizzazione, un appiattimento, e quindi essere sempre meno a misura e ad esigenza di divo. Sarà per questo che Clooney e Pitt non hanno ancora trovato eredi (e non solo loro). Sarà per questo che devono rassegnarsi a fare a meno della sala. Del resto, non è un segreto dire che, qualche anno fa, quando venivano annunciati progetti simili, tipo "Ocean's Eleven", nessuno si sarebbe mai azzardato ad accoglierlo così sottogamba, tiepidamente. Il copione avrebbe eguagliato o superato ogni genere di aspettativa e per settimane avremmo contato i milioni (di dollari) d'incasso al botteghino. Tempi antichi, tempi remoti, quelli che c'entrano anche - e l'abbiamo detto - con la pellicola di Watts, il quale oltre a scherzare con l'età anagrafica dei suoi lupi, nel giro di una notte intera stravolge gli scenari e le gerarchie, regalandosi un finale alla "Butch Cassidy", che sta lì a suggerire un presente in cui il mondo è (anche) pronto a fare a meno dei suoi protagonisti.
E, forse, è la verità.
Forse, davvero al cinema nessuno è più indispensabile, adesso. Nemmeno i giganti.
Tuttavia, quando ci si trova di fronte a degli autentici fuoriclasse, bisogna ammettere che la differenza si vede, si percepisce. Lo schermo è come se emanasse vibrazioni particolari, diverse, magnetiche quasi. Per cui a prescindere dalla direzione che si è presa, o che si prenderà, personalmente io continuo a dormire sonni più tranquilli a sapere che wolfs come Clooney e come Pitt restino (e resistano) a far parte del giro.
Perché vederli all'opera, a prescindere dallo spessore della chiamata, resta pur sempre un belvedere.
Perché vederli all'opera, a prescindere dallo spessore della chiamata, resta pur sempre un belvedere.
Trailer:
Commenti
Posta un commento