La colpa, o meglio ancora, ciò che potrebbe limitare la presa e la reale densità di un film come "A Real Pain" è la sua tendenza a scacciar via l'esplosione. Perché quella scritta, diretta e interpretata da Jesse Eisenberg, è una storia volontariamente propensa a rimanere implosa, o peggio ancora, ad esplodere si, ma solo parzialmente. In chiaro scuro. Una storia dove il conflitto del protagonista - un bravissimo Kieran Culkin - per intenderci, nel corso di questo viaggio (che poi è un tour per turisti) in Polonia, alla ricerca delle radici della nonna appena scomparsa, emigrata in America dopo essere scampata allo sterminio dei campi di concentramento, finisce solo con l'intravedersi, col fare capolino. E quando poi, finalmente, la situazione comincia a delinearsi, a mostrare la sua gravità, la profondità nerissima del dramma, ecco che a scorrere arrivano i titoli di coda.
Da li in poi, potrebbe cominciare un secondo film più o meno breve, più o meno interessante. Eppure, non sarà cosi. Perché è come se Eisenberg - bene o male che sia, poco furbescamente o meno - abbia intenzione di raccontare una personalità con la quale è facilissimo entrare in contatto, ma difficilissimo identificarsi in toto. II Benji di Culkin, infatti, è esattamente quel tipo di persona che quando entra in una stanza tutti i presenti non possono fare a meno che girarsi a guardarlo, ammirarlo, salvo poi rimanere delusi non appena lo vedono abbassarsi i pantaloni e defecare in un angolo. Ed è più o meno la metafora che David - il cugino interpretato da Eisenberg stesso - gli urla in faccia dopo l'ennesima esternazione inappropriata, dopo l'ennesima figuraccia che gli ha fatto fare in pubblico, dopo l'ennesimo tentativo fallito di provare a stabilire con lui una connessione: la stessa di quando erano bambini e lui, David, tra i due era il cugino più sensibile. Una sensibilità che però è stato bravissimo a guarire, a scacciare via, aiutato dell'età adulta, o magari da un disperato bisogno di sopravvivenza e di (auto)conservazione. E noi come lui, probabilmente: diventati bravissimi a non farci né scandalizzare e né affliggere troppo da ciò che accade sullo sfondo o a contorno della nostra vita (basti pensare all'indifferenza con cui reagiamo alla cronaca recente). Un processo - naturale, forse, umano(?) - che in Benji pare essersi inceppato, o mai attivato, costringendolo al contrario ad accumulare dolore senza possibilità di scarico, di sollievo e imponendogli quindi di rimanere puro, disorientato, autodistruttivo, in balia della sua vulnerabilità.
Ed è per questo motivo, allora, che si fa fatica a leggerlo, che spesso le sue sfuriate - vedi quella in treno, appunto - rischiano di apparire costruite, fasulle, una tattica per attirare l'attenzione, per persuadere, o scacciare via l'inadeguatezza. Dinamiche che si riflettono, anche, sulla percezione di un film che sembra voler rimanere in superficie, non scavare mai a fondo nell'anima dei suoi protagonisti, lasciandoli incompleti e incompiuti. Ma come accennato, dentro "A Real Pain" a dominare è l'implosione, quel non-detto che gioca un ruolo fondamentale, praticamente chiave. Sguardi, sospiri e bugie che racchiudono un mondo che sarebbe stato, forse, fin troppo retorico e deludente andare a mostrare, motivo per cui Eisenberg potrebbe aver preferito girargli intorno e chiudere la sua corsa, in anticipo, nonostante avanti avesse ancora svariati metri da poter percorrere. Del resto, tornare indietro, in quell'aeroporto, al punto di partenza, e rivelare chiaramente lo stato psico-fisico di Benji (e il suo rapporto col mondo e viceversa) è un colpo d'occhio tanto terribile quanto emozionante, che riesce ad aprire scenari da brividi, a incutere paura nella coscienza dello spettatore, ma pure ad aprire un lievissimo spiraglio verso il futuro (incerto).
Cosi, al netto di qualche accortezza in più, che avrebbe sicuramente potuto aggiungere un po' di sale a questa sua seconda prova da regista (a scaldare maggiormente questa storia), elevandola a miglior sorte, Eisenberg continua a dimostrare di avere comunque talento, idee, qualcosa da dire. Le misure non saranno precisissime, forse, ma per quelle ci sarà tempo e modo. La cosa importante è che la strada sia chiara e ben illuminata, e lo stesso vale per i riferimenti a cui ci si vuol ispirare. Fattori che nella pellicola emergono piuttosto limpidamente.
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