Giurato Numero 2 - La Recensione

Giurato Numero 2 Poster

Capita, a volte, che un film riesca a comunicare tantissimo già attraverso il suo trailer, a trasmettere la sua natura, la sua personalità, smettendo - o mettendo in secondo piano - i panni della campagna promozionale di cui dovrebbe vestirsi e stringendo con lo spettatore un patto (silenzioso e segreto) di fiducia, simile a una promessa. 
Un evento - rarissimo - che si è verificato, per quanto mi riguarda, circa un mesetto fa, davanti alle immagini di "Giurato Numero 2" che, per carità, non che dovesse faticare chissà quanto per convincermi a recarmi al cinema - a me bastava leggere il nome di Clint Eastwood e lo avrei fatto a scatola chiusa - ma in quel paio di minuti è stato come se tra me e lo schermo fosse scattata una specie di scintilla, un presentimento, la certezza che mi trovavo al cospetto di una storia molto importante.

E lo è una storia (molto) importante "Giurato Numero 2", lo è non appena comincia a scavare al di sotto della trama che vediamo in superficie. Lo è per le questioni che solleva e che ci sbatte davanti agli occhi, costringendoci a vedere (e a ragionare su) ciò che quotidianamente, da tempo, abbiamo smesso di (voler) vedere (e analizzare). Lo fa servendosi dei sensi di colpa e delle paure del Justin Kemp interpretato da Nicholas Hoult: il giurato del titolo, chiamato a decidere insieme ad altre undici persone se l'imputato di turno è realmente colpevole del femminicidio di cui viene accusato, oppure vittima di un sistema giudiziario imperfetto. Un verdetto che, stando alle parole e alle testimonianze dei soggetti coinvolti, non lascerebbe scampo a nessun genere di dubbio, se non fosse che ascoltando le ricostruzioni legate alla morte della ragazza, Justin comincia a percepire come una sorta di deja-vu, a ricordare le immagini di quella stessa sera in cui seduto a un tavolo di quello stesso locale c'era anche lui. E tornando a casa, mentre guidava il suo furgone 4x4, in mezzo alla pioggia scrosciante e in preda a una crisi personale, ha accidentalmente urtato quello che li per li aveva battezzato come un cervo, ma che adesso, all'improvviso, comincia ad avere il sospetto potesse essere altro.

La domanda, allora, è cosa fare? Come comportarsi? Come agiremmo noi al suo posto? Riusciremmo a vivere serenamente con il dubbio di aver consegnato alla giustizia un potenziale innocente, scrollandoci di dosso ogni responsabilità?
Ed è su questo scivolosissimo territorio che ci accompagna Eastwood, con Kemp che da ex- alcolista redento, e deciso a rimanere sulla retta via, cerca di salvare capra e cavoli e, quindi, sé stesso e l'accusato (sarà possibile?). Lo fa andando contro i suoi interessi, spronando (e manipolando) una giuria pigra e superficiale a riflettere sul caso più dei trenta secondi, dopo i quali praticamente tutti sarebbero stati già disposti ad archiviarlo. Del resto, trattasi della vita di un essere umano e, per quanto virtualmente colpevole (o innocente), ha diritto a ricevere una discussione nella quale appaia almeno un accenno di confronto concreto. E nell'era del giustizialismo per direttissima, in cui quotidianamente, con un telefonino in mano, è diventato facilissimo decidere quando e chi sbattere in carcere, "buttando via la chiave", un atteggiamento del genere ci sembra quasi alieno, stupido, folle, stando alla situazione complicata del protagonista. Se non fosse che, piaccia o no, esistono delle zone grigie, appunto, delle zone dove si può mettere la faccia esclusivamente cavalcando il beneficio del dubbio, l'istinto, guardando negli occhi la persona seduta al di là della sbarra, nel tentativo di fare un minimo di chiarezza, capire, limitare il margine d'errore (lo scenario peggiore). Perché la giustizia in quanto umana è e resterà sempre imperfetta, cieca, pericolosa.

Giurato Numero 2 Eastwood

E "Giurato Numero 2", assaltando un po' quelli che sono i difetti e i limiti del sistema giuridico americano - diverso dal nostro, sì, ma non in termini di sostanza - vuole, non provocare lo spettatore, ma più sensibilizzarlo verso un atteggiamento maggiormente accorto e coscienzioso, intelligente, prudente nei confronti di una materia che, in teoria, è al di sopra di noi, del nostro essere umani, e sarebbe stato l'ideale poter appaltare a un'entità divina, imparziale, infallibile.
Oggi più che mai, verrebbe da dire, pensando all'imminente futuro (ma pure guardando indietro) dell'America e all'oscurità che (ci) minaccia. Un'oscurità assai simile a quella che travolge il pubblico ministero di Toni Collette, costretta, a un certo punto, a dover scegliere se mettere a repentaglio la sua carriera politica (e il suo successo), oppure il concetto stesso di verità (di onestà) sul quale la pellicola getta interrogativi e contraddizioni da far rabbrividire, prima di colpire fortissimo allo stomaco con una meravigliosa e spiazzante doppia inquadratura finale.

Gira in maniera essenziale, intensa, con lucidità e con eleganza, Eastwood, che a 94 anni dimostra ancora di mettersi in tasca gran parte del cinema e dei cineasti in circolazione. Lo fa realizzando un legal-thriller incantevole, formidabile, che si rifà ai classici del passato - impossibile non rivedere "La Parola Ai Giurati" nei testa a testa privati - ma allungando le radici e attorcigliandosi al presente. 
C'è chi dice che questa potrebbe esser la sua ultima fatica, ma evidentemente nessuno ha avuto il coraggio di interpellarlo a riguardo. Sta di fatto che seppur dovesse essere cosi, beh, che dire se non "tanto di cappello (da cowboy)".

Trailer:

Commenti