L'esordio in lingua inglese di Pedro Almodovar somiglia a tanti altri esordi di registi - di autori - europei, o orientali, che ad un certo punto della loro carriera - onorata - hanno deciso di cedere alle lusinghe di Hollywood realizzando, nella maggior parte dei casi, un compitino che sa più di gesto diplomatico - scolastico - che di altro. Nel caso specifico, il regista spagnolo, lo fa adattando per il grande schermo il romanzo omonimo di Sigrid Nunez, e quindi prendendo in carico il delicatissimo tema legato al diritto - ancora tabù - all'eutanasia.
C'è la Ingrid di Julianne Moore, allora, che viene "scelta" dalla sua migliore amica Martha - una Tilda Swinton uguale e identica a David Bowie - come persona che dovrà trovarsi nella stanza accanto alla sua, quando quest'ultima deciderà di farla finita. Malata terminale, indifferente a qualunque cura, Martha ha deciso di anticipare la morte attraverso una pillola (illegale) che, una volta ingerita, metterà fine alla sua agonia. Non vuole farlo da sola, però, nonostante come reporter di guerra abbia rischiato la pelle in tantissime occasioni, stavolta ha paura. Così, il suo piano prevede che entrambe passino un mese intero in una splendida villa sperduta tra i boschi, a contatto con la natura, tornando intime e spensierate il più possibile. Questo finché non deciderà di compiere il fatidico gesto, al che chiuderà la porta della sua camera da letto e, per Ingrid, quello sarà un segnale inequivocabile. E inequivocabile, per noi, è pure il tono della pellicola che, come intuibile, è profondamente drammatico e riduce al minimo, allo strettissimo, lo spazio per la leggerezza e per l'ironia (ma qualcosina passa). Almodovar imbocca la via della verbosità, dei dialoghi fitti e costanti (dell'omaggio e del citazionismo), dirigendo in maniera rigorosissima, scrupolosa, e seguendo le sue (due) star silenziosamente e con la massima discrezione, come se qualunque incursione o virtuosismo, da parte sua, potrebbe rischiare di macchiare qualcosa, o fare danni.
Tant'è che "La Stanza Accanto" procede stabile su binari dritti, immutabili, non azzardando praticamente nulla e accontentandosi di piccoli lampi - registici o attoriali - ricoperti di pura e di semplice meraviglia. Una tendenza che verra interrotta solamente quando entra in gioco - ma in gioco davvero - il personaggio di John Turturro, scrittore anche lui (come la Moore), ma monotematico: ossessionato dalla causa ambientalista e quindi arrabbiatissimo, polemico e disincantato. Per Almodovar diventa quasi un mezzo attraverso il quale uscire fuori a riprendere un po' di ossigeno, ampliare il discorso, dire la sua su di noi e sul mondo moderno. All'improvviso si viene a creare lo spazio per parlare di politica, menefreghismo e stupidità (la nostra), di inspiegabili comportamenti (e leggi) che rendono sempre più difficile riuscire a comprendere la realtà che ci circonda. Sono battute, stilettate, accenni di colore che non spostano mai l'attenzione dal conflitto principale, ma che fanno comodo al respiro e al contesto, legandosi perfettamente a un finale che è sia sentimentale che elegante e a cui si può concedere il lusso di prendersi qualche licenza poetica.
Di sicuro un Almodovar di livello medio, eppure sempre autentico, appassionato.
Sostenuto da due attrici tra le migliori su piazza che (non) fanno a gara a chi riesce ad essere più brava dell'altra (spoiler: sarà un magnifico pareggio). Non lo ricorderemo come il suo lavoro migliore, forse, ma - ed il bello sta proprio qui - in un modo o nell'altro, ce lo ricorderemo lo stesso.
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Assolutamente d'accordo. Un film di medio livello tenuto a galla da due interpreti meravigliose. Ma dell'Almodovar geniale e irriverente dei primi tempi, o di quello dolente e malinconico degli ultimi (penso a "Tutto su mia madre") non è rimasto praticamente nulla. Peraltro con un personaggio (Turturro) che ho trovato abbastanza avulso dal contesto...
RispondiEliminaA me l'ultimo Almodovar non dispiace, per esempio Dolor Y Gloria l'ho trovato bellissimo. Su Turturro sono d'accordo, ma trovo il suo essere avulso al contesto anche funzionale a certi temi che vuole affrontare il film.
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