Un gruppetto di amici in gita nel bosco, trova un medaglione d'oro appeso ad un ramo. Nei pressi della zona c'è una torre antincendio e, legata a questa torre, la leggenda di un terribile massacro. Uno di loro non si fa suggestionare dal racconto e porta via il medaglione per regalarlo alla fidanzata. Tempo qualche istante e una specie di terremoto favorisce il risveglio di una creatura dalle profondità della terra. È un uomo, anzi no, è uno zombie, un animale, un mostro. Difficile dirlo, perché lo vediamo solamente di spalle. Comunque riemerge, si alza in piedi e comincia a camminare. Lentamente, incessantemente, vaga nel bosco alla ricerca di chissà quale meta. La voce di due uomini che litigano attira la sua attenzione, conducendolo in casa di uno dei due. Si guarda intorno e davanti a uno specchio e una cornice ha ricordo di quando il padre, anni prima, gli aveva donato il medaglione d'oro della madre, assicurandosi di averne cura. Lo stesso medaglione che i ragazzi dell'inizio, hanno deciso di portargli via.
Potremmo ribattezzarlo come un "Halloween" senza Laurie Strode a fare da contraltare, allora, "In A Violent Nature". Con questo omone di nome Johnny che praticamente è un surrogato di Michael Myers, ma con origini soprannaturali e una backstory dal gusto disumano e violentissimo. Un film che chiaramente guarda e omaggia agli slasher e alle atmosfere anni '80, pur mantenendo un occhio vigilissimo sia sul cinema che sui tempi moderni. La patina è sporca, i ritmi decisamente calmi e indolenti (ma aumenteranno, state tranquilli) e il formato video quello dell'Accademy ratio, una specialità del genere: come afferma lo stesso Chris Nash - regista e sceneggiatore - quando dice di aver voluto replicare un'immagine simile a quella cui era abituato da bambino, quando guardava questi film sulle vecchie VHS. E che ci sia una forma di affetto, da parte sua, nel dirigere la pellicola lo si intuisce anche in come intende strutturare la storia, negli elementi che inserisce rifiutandosi di farne a meno, quelli che per alcuni potrebbero suonare come facili cliché, ma che invece sono semplicemente ingredienti imprescindibili, necessari alla riuscita della ricetta. E quindi ben vengano le morti scontate, prevedibili, fuori di testa, che in un certo senso servono pure ad alleggerire la brutalità visiva con un'ironia di fondo che non dimentica di accompagnarli. Quell'ironia che serve al genere per sdrammatizzare, per aiutare lo spettatore a sopportare meglio la quantità di sangue e di corpi dilaniati che dovrà vedere.
Anche perché la violenza, in questo caso, è ineluttabile, come diceva qualcuno. Inarrestabile, invincibile, perché colui che la genera, a prescindere dalle fattezze, non è (più) precisamente umano, non è qualcuno con cui puoi provare a scendere a compromessi (o forse si?). E, allora, non c'è scampo per nessuno, al massimo la chance di correre e scappare via, ma, mi raccomando, che sia verso la civiltà e possibilmente a bordo di qualcosa che abbia un motore, visto che il bosco-tutto, fino a prova contraria, è territorio ad uso e consumo di Johnny e del suo lento incedere. Lui che è (stato) vittima dell'uomo e, quindi, uno scherzo della natura (guarda un po', anche lei vittima, sebbene non esiste una relazione diretta in questo film) col quale, forse, esistono pure i margini per poter parteggiare, se teniamo conto delle cause che lo hanno investito e trasformato in un bogeyman. Il suo disprezzo per la razza umana, non a caso, è colossale e senza sconti, e l'unico legame che riesce a instaurare con essa è strettamente legato alla morte e ai diversi modi (creativi) in cui può essere applicata.
L'unica soluzione, dunque, è rimetterlo a nanna e il come fare è pure piuttosto evidente: sebbene per certe teste risolvere determinati enigmi possa risultare complicatissimo. Sta di fatto che quello di Nash è un esordio che funziona, che a tratti sorprende e di sicuro sa come restare impresso. E a fare la differenza è anche la dedizione, la cura dei dettagli: basti pensare a come sia decisiva per la suspense tutta l'attenzione legata al suono ambientale che spesso va ad occupare e a gestire i silenzi (volutamente ispirato ai documentari sulla natura). Un po' di aria fresca, insomma, per un genere non facile da rinnovare e che sempre più spesso tende a infrangersi nella banalizzazione.
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