L'Uomo Nel Bosco - La Recensione

L'Uomo Nel Bosco Film

Onestamente non so se "L'Uomo Nel Bosco" possa essere considerato davvero il miglior film del 2024 come sostenuto di recente dalla celebre rivista francese Cahiers Du Cinéma, che l'ha messo in cima alla sua classifica (in Francia è già uscito). O meglio, una mia idea ce l'ho perché è normale che ognuno di noi abbia le proprie opinioni, ma come si dice in questi casi, i gusti sono gusti, e non sarò certo io a mettermi qui a contestare giudizi stilati da chi, oggettivamente, ha più credito e credibilità di me. Di sicuro però, quello scritto e diretto da Alain Guiraudie e un film che sa come prenderti all'amo, stuzzicarti, provocarti e trascinarti in quella posizione (scomoda) in cui non sai più se devi prenderlo sul serio, oppure stare allo scherzo.

Per quanto mi riguarda, io, ho optato per fermarmi nel mezzo. Nel senso che, secondo me, un po' di furbizia c'è nella maniera in cui Guiraudie scrive e fa evolvere le dinamiche e le morali della sua storia: che racconta del trentenne Jérémie tornato a Saint-Martial per assistere al funerale del panettiere del villaggio - con cui aveva avuto una relazione - finendo per restare a dormire a tempo indeterminato a casa della vedova, con il figlio di lei - suo amico d'infanzia - che a volte per finta e a volte assai meno, comincia a bisticciare con lui, venendo alle mani, oscillando tra rabbia repressa e tensioni sessuali (represse pure quelle). Una trama equivoca, ambigua che come suggerisce il titolo naturalmente si infittisce, generando un morto (seppellito nel bosco) e un'altra serie di legami - in cui il sesso c'entra sempre - rischiosi ed incerti (e pericolosi) che si intrecciano tra loro e che vanno a ribaltare gli archetipi del genere, (forse) imbrogliando (con abilità) e prendendosene gioco. Niente è come sembra, allora, dentro "L'Uomo Nel Bosco", perché ogni pedina, ogni suo personaggio ha qualcosa da nascondere, da bramare, da proteggere. Anche colui che per abiti e per simboli è messo li a rappresentare integrità e rettitudine: ma che poi trova il pretesto per compiere scelte discutibili, guardare i propri interessi, giustificandosi col rovescio di una frittata che per molti risulterà indigesta.

L'Uomo Nel Bosco Film

Eppure, prendersela non serve a nulla, perché fa tutto parte della farsa, della boutade di un autore che è il primo a divertirsi e a sganasciarsi, mentre si immagina le nostre reazioni di fronte a ogni sua insolenza, scorrettezza e assurdità seminata. In quello che è un thriller che, di fatto, realmente teso non si fa mai, pur non volendo allentare la corda e continuando a tirarla per tenere in bilico (le nostre illusioni e) un risultato che è destinato a farsi sempre più rocambolesco. Più il cerchio si stringe, più diamo per scontato che l'indagine in corso non possa durare troppo a lungo e più la follia e i colpi di scena irrompono, complicando ciò che è semplice e allargando il cerchio di colpevolezza. Il contesto si fa surreale, cialtronesco, privo di quella logicità che, forse, andrebbe cercata dentro al titolo originale della pellicola, quel "Miséricorde" che aiuta a inquadrare un pochino meglio la situazione e i motivi per i quali a volte tendiamo a non voler vedere delle verità, nascoste proprio davanti ai nostri occhi.

Ciò rende sporchi tutti quanti, dunque, nessuno escluso.
Persino noi spettatori che, ad un certo punto, ci sentiamo chiamati in causa e accusati (in)giustamente (e paradossalmente) di colpe che (non)abbiamo, pur (e perché) non avendo mosso un dito. E la sensazione che si ha, alla fine, è quella che si prova quando si è davanti a qualcuno che, scherzando scherzando, cerca di dirti la verità. Una verità fastidiosa, che tu non condividi, ma che sotto sotto un po' ti fa scocciare perché giudichi plausibile. E questo basta a "L'Uomo Nel Bosco" per compiere il suo lavoro, per seppellirsi lì, nella nostra memoria, come un cadavere di cui vorresti dimenticarti, ma il cui pensiero torna a bussare.

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